“Caldo cosmico e altri racconti”: ordinario e surreale a Roma

Caldo cosmico e altri racconti, Fiorella Malchiodi Albedi
(Eretica Edizioni, 2018)

Immagine2“Caldo cosmico e altri racconti” è un esordio interessante, scoperto poiché candidatosi alla nostra iniziativa rivolta agli autori emergenti. La sua autrice, Fiorella Malchiodi Albedi, è un medico anatomopatologo che arriva alla scrittura solo di recente. Ha pubblicato racconti su Il Paradiso degli Orchi, Verde, L’irrequieto, Inkroci, e nel 2015 è stata selezionata al concorso 8×8. Ciò che mi ha attirato di questa raccolta è la volontà di indagare il quotidiano nei suoi aspetti solo in apparenza più banali; il mostrare le dinamiche poste in gioco nella vita di tutti i giorni; la consapevolezza che anche in una conversazione con un passante,  in una attesa alla fermata del pullman, nel caldo torrido che incendia l’estate, possa insidiarsi qualcosa che meriti d’essere raccontato. E al tempo stesso che un elemento, anche misero, di surreale possa essere sempre in agguato della realtà.

Sono ventiquattro i brevi racconti che compongono la raccolta, tutti (o quasi) appunto caratterizzati dall’ambientazione ordinaria di un quartiere di Roma (Città Giardino). La narrazione è quasi sempre in prima persona, ora al maschile ora al femminile. I protagonisti sono persone comuni nella loro vita comune, i quali, a un certo punto, si trovano a eccedere, anche solo per un momento, lo stallo della routine: perché riappare una persona che non fa più parte della loro vita, perché un boato sconvolge un quartiere intero ma nessuno comprende cosa l’ha provocato, perché degli aquiloni misteriosamente affollano la città o semplicemente perché due coniugi cercano una nuova casa oppure avviene un litigio tra loro. Che sia più ordinario o più surreale il motivo che innesca la vicenda, in entrambi i casi c’è un dialogo, un’immagine, un contesto che, secondo l’autrice, è degno d’essere raccontato.

L’idea è certamente interessante. Io personalmente sono sempre stato attratto dalla solo apparente banalità del quotidiano e dalle infinite storie che si possono annidare in esso. Raccontare il quotidiano è in fondo il raccontare la vita. Non c’è vita narrativamente raccontabile senza un’indagine del quotidiano e dell’ordinario. Tuttavia, non sempre i racconti sono pregni di una certa efficacia, o, se vogliamo, di un’energia ammaliante. Alcuni sono certamente originalissimi: Aquiloni a Roma, così come Dietro le tende – quest’ultimo mi ha colpito specialmente perché interseca un debole personale per Kafka. Altri, pur parlando di una situazione ordinaria, come Caldo Cosmico, riescono ad essere molto interessanti per la piccola ma riuscita nota di surreale di cui sono venati e per la ventata di universalità. Altri, invece, ad esempio quelli in cui il surreale è assente del tutto e/o raccontano un frammento di relazione tra due individui, tendono invece ad assomigliarsi, risultano al lettore, dopo un po’, ridondanti e infine poco peculiari.

D’altra parte è interessante il ricorso al fulmen in clausola, che ribalta le premesse e le aspettative, offre una visione completamente differente della storia narrata ed è un barlume di originalità anche in quelli che ne contengono meno. La scelta, quindi, è felice e apprezzabile, anche se, in ristretti casi, non totalmente efficace.

Lo stile e la lingua utilizzati non ammettono sbavature, se non alcune scelte talvolta rivedibili nell’uso della punteggiatura (si parla di virgole o di scansione degli incisi), che tuttavia non costituiscono un vero problema. Per il resto, lo stile, per quanto sia semplice e ordinario in relazione alle medesime caratteristiche nella trama, non cade mai nel banale, anche grazie al frequente ricorso alle descrizioni – di persone, paesaggi, soprattutto elementi naturali come i fiori -, e si dimostra con dovuta proprietà sostenuto dall’autrice, sebbene – sia da dire – la semplicità, priva di guizzi, può portare a un appiattimento.

In definitiva, la scrittura di Fiorella Malchiodi Albedi è felicemente priva delle ingenuità che ci si aspetterebbe da uno scrittore emergente. L’autrice ha anche il merito di aver sviluppato una sua propria identità nell’oggetto narrativo da indagare – il quotidiano. Insomma, il potenziale c’è. Ora è il momento per lei di fare un ulteriore passo in avanti alla ricerca di un quid in più che molto spesso è mancato, per rendere dei racconti semplicemente ben scritti in un qualcosa di superiore, che siano scossi da un’energia vibrante, che possano sviluppare empatia nel lettore e tangere i suoi nervi scoperti. Il mio consiglio personale – che però potrebbe non coincidere con le intenzioni dell’autrice – è di lavorare sull’inserimento dell’elemento surreale (o semplicemente insolito, incoerente) all’interno della quotidianità. Questa, a mio parere, la via su cui insistere.

A questo fine, bisognerebbe andare a scuola dai più grandi del genere: penso qui al Buzzati raccontista – insuperabile – ed anche ai maestri mitteleuropei come Lernet-Holenia, più del suo mentore Perutz per la sua predilezione della forma breve. Buzzati in particolare dichiarava: “il fantastico va banalizzato, va burocratizzato… deve sboccare su una forma di realtà.”
E per continuare con qualche consiglio non richiesto, ma restando sulla letteratura italiana contemporanea, consiglio all’autrice, se non le ha già lette, due raccolte edite di recente da Racconti Edizioni: vale a dire “Il vizio di smettere” di Orti Manara e soprattutto “Dal tuo terrazzo si vede casa mia” di Elvis Malaj, perché – soprattutto quest’ultimo – raccontano il quotidiano e la vita ordinaria in maniera efficace, molto originale e sempre interessante.

– Giuseppe Rizzi –