Dalla miseria al Nuovo Mondo: si chiude l’epopea dei De Boer

La terra promessa, Matteo Righetto
(Mondadori, 2019)

 

coverNelle ultime pagine de L’ultima patria avevamo lasciato i fratelli De Boer, la Jole e il giovane Sergio, su un treno diretto a Padova, rassegnati ad abbandonare la terra natia. La terra promessa, il romanzo che conclude la cosiddetta Trilogia della Patria, riprende da questo stesso punto.
Dopo un viaggio massacrante i De Boer sono arrivati a Genova; lì stringono amicizia con un’altra famiglia di emigranti, con cui si imbarcano verso l’America (la terra promessa del titolo).

L’opera è scarna di eventi, pervasa dal nichilismo. I personaggi (quattro protagonisti, molte comparse, pochissimi personaggi secondari) assecondano questa tendenza: parlano poco, di cose essenziali, riflettono molto, impegnati come sono a combattere contro la disperazione di aver dovuto abbandonare tutto ciò che conoscono e amano. Come lasciava presagire L’ultima patria, il tema dell’emigrazione si collega a sentimenti profondamente negativi.

Per la prima volta, infatti, i protagonisti si sono allontanati dalle montagne venete, sfondo dei primi due romanzi. Confusi, sradicati, osservano con sconcerto Genova con le sue industrie, la grandiosità dell’oceano, il territorio duro e inospitale che li attende in America.
Ancora una volta il viaggio rappresenta il nucleo della narrazione – quella della famiglia De Boer, e di Jole in particolare, è una storia di peregrinazioni, inseguimenti, fughe, esodi. Viaggi che rappresentano altrettante occasioni di trasformazione e crescita. Dopo il viaggio come scoperta del mondo de L’anima della frontiera e dopo la caccia spietata de L’ultima patria, l’autore chiude il ciclo con un viaggio lungo, faticoso, doloroso ma pieno di speranza – un viaggio verso una nuova vita, una nuova terra.

Totalmente nuova, rispetto ai romanzi precedenti, è l’assenza di un nemico umano: ne La terra promessa sono l’ignoto, la fatica, la miseria a mettere a dura prova i personaggi. Il cambio di scenario sembra portare con sé una nuova consapevolezza: i De Boer, abituati a vivere – è il caso di dirlo – con i piedi ben piantati per terra, si ritrovano sospesi (prima su un treno, poi su un piroscafo) e maturano più cupi e astratti.
Si tratta di una svolta piacevole: la trama non scade nella banalità, riproponendo antagonisti che avrebbero ridotto il libro a un feuilleton fondato su colpi di scena sempre più spettacolari.

Ciò che manca, tuttavia, è la spontaneità. Non si avverte la padronanza della materia dimostrata negli altri romanzi. Certi sentimenti sono espressi in maniera contorta, le descrizioni mancano di mordente. La precisione lascia il posto all’approssimazione, e sebbene questo possa essere parzialmente ricondotto alla necessità di trasmettere lo spaesamento di Jole e Sergio, si sente la mancanza di un certo je ne sais quoi.

Ammetto di aver temuto – e in un certo senso previsto – questa svolta: parte del fascino dei primi due romanzi stava nella perfetta immedesimazione tra autore e materia trattata; un’affinità che, purtroppo, in questa occasione non ho percepito.
Ciò nonostante, ne La terra promessa l’autore è riuscito a chiudere il ciclo della Patria con maestria. Tre piani temporali si intrecciano senza fatica, così come i brani sull’Italia si alternano elegantemente a quelli sull’America.

Se lo scollamento tra stile e trama può risultare straniante, è altrettanto vero che aiuta il lettore a percepire le difficoltà affrontate e superate dai De Boer.
Una nota di merito infine va alla capacità dell’autore di risolvere tutte le questioni lasciate in sospeso.
Quando si chiude il libro, si ha la sensazione di aver concluso il viaggio – e di averlo vissuto in ogni suo aspetto.

Sonia Aggio

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