L’ora del mondo, Matteo Meschiari
(Hacca, 2019)
È difficile mettere per iscritto le impressioni suscitate da L’ora del mondo, ultimo romanzo del modenese Matteo Meschiari. Durante la lettura mi sono sentita lacerata da impulsi ed esigenze molto diverse tra loro: la prima e più semplice era quella di continuare a leggere. Dovevo sapere come sarebbe finita. A farle da contrappeso era la consapevolezza della brevità del libro (appena 174 pagine) e della velocità con cui l’avrei concluso. Mi sono quindi sforzata di centellinarlo, mi sono imposta di leggerne tuttalpiù due capitoli al giorno.
Ma nella lettura mi hanno accompagnato altre sensazioni contrastanti tra loro. La prima e più forte è stata senza dubbio la seduzione: questo romanzo mi ha stregata. Subito dopo ho provato invidia per il talento dell’autore. Infine mi sono trovata in una vera e propria impasse: da un lato ero ammirata e curiosa di sapere come si sarebbe evoluta la vicenda, ma dall’altro cominciavo a provare un misto di scetticismo e preoccupazione.
Intuivo che il romanzo non mi avrebbe condotto a un finale chiaro, che non tutti i misteri sarebbero stati svelati.
L’ora del mondo, infatti, non è un romanzo facile. Fin dalle prime pagine prende un sapore di fiaba antica, accentuato da uno stile ambiguo, eterogeneo, in cui vocaboli immediati e impressionistici si mescolano a termini specifici, settoriali; il mondo naturale si interseca e si compenetra con il mondo dell’uomo, il mondo artificiale. Pur seguendo soprattutto un punto di vista – quello di Libera, la protagonista – fortemente legato al bosco, alla wilderness delle Terre Soprane, e pur condividendo il suo straniamento nei confronti della società umana, si ha l’impressione che questa non sia aliena, ma faccia parte di un ecosistema più grande, in cui tutto trova un posto.
È difficile anche riassumere la trama de L’ora del mondo. Libera, nata senza una mano, è una bambina selvaggia. In dieci anni di vita ha conosciuto soprattutto le Terre Soprane, tra l’Appennino e la pianura, e le creature antiche che le abitano. Ora – scusate il calembour – deve lasciare ciò che ritiene “casa” per compiere una missione che la porterà tra gli uomini: deve ritrovare il Mezzo Patriarca, il membro di quello che potrebbe ritenersi un Gran Consiglio: cinque creature e mezza che regolano i rapporti tra gli elementi del mondo: fiumi, paludi, rocce, vento, umani.
Meschiari rifugge alla facile dicotomia natura-uomo, buono-cattivo. La natura che proteggono è lungi dall’essere un cosmo pacifico. Anche al suo interno si trovano fazioni in lotta, interessi contrapposti, malignità e gesti di affetto e pietà.
Devo dire che alcuni elementi, alcune scene, il ruolo di alcuni personaggi non sono chiarissimi. A volte è stato difficile inserire il particolare nel quadro generale, ma è anche difficile capire se si tratti di una piccola mancanza o di una scelta precisa, ed è ancora più difficile capire se questa mancata comprensione possa essere dipesa da me.
Certo è che L’ora del mondo è un romanzo, una storia dal respiro così grande da farti sentire piccolo – nel miglior senso possibile. Sono una lettrice che desidera comprendere tutto quello che è avvenuto. Sopporto a fatica i finali aperti, le sottotrame lasciate in sospeso, ma qui ho provato la gioia di lasciarmi trascinare senza farmi domande.
Sonia Aggio
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