L’imitazione di una foglia che cade, Luca Doninelli
(Aboca Edizioni, 2020)

In semiotica, qualsiasi evento, anche il più ordinario, può comunicare, ovvero veicolare informazioni. Quando però queste informazioni non sono inerenti all’oggettività dell’evento, bensì alla sfera soggettiva di chi nell’evento riconosce una parte del proprio passato, allora il suddetto evento può mettere in comunicazione quel “qualcuno” di oggi con il suo “se stesso” di ieri. Ne consegue, quindi, tutta la trafila effetti che derivano dall’incontro. Ed è proprio un evento normale a fungere, ne L’imitazione di una foglia che cade, da causa scatenante della narrazione. Del libro non trovo molto da dire, in parte per le misure stringatissime entro le quali Doninelli ha inserito il romanzo, in parte perché leggendolo ho avuto la sensazione di incontrare spesso cose note, fin troppo familiari – nel bene e nel meno bene, se mi si accorda l’espressione.
Tuttavia, ho dovuto resistere dall’ascrivere questo vuoto alla mia imperizia critica. Il motivo è che, infatti, il libro tratta, tra le altre tematiche ad essa legate, dell’impotenza comunicativa della parola: l’ultimo lavoro di Doninelli gioca in ambito narrativo su una serie di idee a stampo meta-linguistico. La storia – tracciata sullo sfondo di una Milano che avrebbe potuto essere anche una qualsiasi altra città – è quella dello scrittore Ugo, un uomo solo, divorziato dalla moglie e lontano dai figli, che non ha mantenuto contatti né con la propria famiglia né con le amicizie appartenenti al tempo in cui era ancora sposato e sconosciuto agli occhi dell’editoria.
Una mattina Ugo vede recapitarsi a casa un pacco dal contenuto enigmatico, il cui anonimo mittente sembra risiedere nella stessa piazza dove, proprio al tempo in cui era ancora sposato e sconosciuto agli occhi dell’editoria, si recava per acquistare libri dalla bancarella di un vecchio libraio parigino. Nel pacco, una copia della Historia Francorum di Gregorio di Tours, che Ugo riconosce essere sua. Nella copia della Historia Francorum, tra la copertina e la rilegatura, un quaderno che contiene la versione iniziale scritta a mano del primo romanzo che Ugo abbia mai scritto. Tra le pagine del romanzo, come in un incastro di matriosche, una foglia d’acero, simbolo della semplicità di quella sua scrittura dimenticata, primitiva ma più autentica, nella quale Ugo si imbatte.
Il confronto con l’autore del romanzo vergato sul quaderno con un se stesso del passato, un Ugo che era un aspirante letterato innamorato del vivere alla giornata quanto della moglie, porta il protagonista a doversi riconciliare con quel passato che un tempo aveva confinato ad agire nell’ombra dell’oblio. Non tutto però è così semplice. La caratterizzazione di Ugo permette a Doninelli di sviluppare le proprie riflessioni. Infatti, il protagonista, da quando è stato investito del suo ruolo di scrittore di fama, preferisce di gran lunga decifrare le informazioni significate dalla realtà circostante piuttosto che lasciarsi “precipitare”, ovvero rinunciare a comprendere in chiave intellettuale, e non emotiva, l’amore, lo scorrere del tempo (quindi la morte), e i segni inviatigli dalla vita, quali la foglia d’acero, il romanzo, l’Historia Francorum.
Pronto a ripresentarglisi con la forza oscura del destino, il tempo ha agito in segreto per tutti quegli anni in cui la sua abilità di paroliere – e non di “decifratore” –, ascoltata su larga scala, l’ha illuso di poter trovare per tutto un ordine esprimibile di parole: neanche Ugo sa spiegarsi come sia stato possibile un ritorno così inaspettato del passato. Doninelli sembra volerci dire che ogni cosa ha un significato e un senso, ma che le parole per poterlo esprimere arrivano fino a un certo punto, come in una pagina il cui margine impedisca di procedere nella scrittura – metafora contenuta nel libro.
Il tema di partenza del romanzo sembra quindi vasto: gli spunti lascerebbero presagire un approfondimento nella distinzione tra “decifrabile” e non, nell’analisi della pretesa di interpretazione cieca che l’essere famoso e quindi il poter comunicare con tante persone implica, nella definizione dei cambiamenti che il tempo opera su di noi in silenzio. Eppure Doninelli si ferma qui.
A fronte della discrepanza tra la sostanza, ovvero l’ampio argomento, e la forma, ovvero una storia povera di quegli eventi che, tranne in casi di particolare abilità, la rendono degna di chiamarsi tale, Doninelli si perde in pagine e pagine di riflessioni simili a se stesse nei contenuti, tanto diluite da instillare il sospetto che da parte dello scrittore ci sia stata una corsa al titolo di “romanzo” piuttosto che di “racconto”. A dirla tutta, il sentore (un po’ maligno) è che L’imitazione di una foglia che cade sia nato più da un’opportunità data all’autore che dal vero bisogno dello stesso.
Il materiale narrativo piuttosto limitato si alterna quindi a capitoli più teorici, andando così a costruire un impianto nel complesso interessante ma un poco debole. Quando la parte più narrativa ha la meglio, si riscontra nello stile di Doninelli una certa apprezzabile cura per l’immagine che, sebbene in maniera del tutto diversa, si avvicina al riguardo per il dettaglio in Cose trasparenti di Vladimir Nabokov. L’intento è simile: per Nabokov mostrare come dietro qualsiasi oggetto, persona, avvenimento si celi una catena di cause e conseguenze che ha portato quell’oggetto, quella persona, quell’avvenimento a presentarsi nella situazione in cui si presenta; per Doninelli mostrare come quella catena di cause e conseguenze porti con sé un significato.
Tuttavia gli esiti in Doninelli sono eterogenei. Molti i casi in cui, dietro a un’apparente semplicità, si scoprono idee originali: come il ritratto romanzato di Roland Barthes negli ultimi capitoli o, all’inizio, la descrizione dell’impercettibile scivolare dei libri l’uno sull’altro nello scaffale fino alla loro definitiva caduta, il momento in cui si rivelano gli effetti dello scorrere del tempo con un rumore simile all’ “imitazione di una foglia che cade”. Altre le immagini in cui invece si avverte una leggera impressione di dejà vu – l’albero come spettatore delle vite umane o il foglio scritto simile un campo arato, ad esempio.
Ulteriore interessante proposito di Doninelli è quello intuibile dalla prima metà del libro: delineare un’idea precisa di letteratura ideale, dove le parole siano “come gli oggetti del mondo”, cariche dello stesso significato e della stessa concretezza. L’imitazione di una foglia che cade non manca quindi di spunti di trattazione. Questi spunti però non trovano più appoggio di quanto basti nel racconto che dovrebbe sostenerli. Il libro ha un ritmo piacevole e la scrittura, favorita da una lingua semplice, senza pretese di stile, scorre fluida. Ma la sensazione che ne rimane, una volta raggiunta la fine, è di aver letto la stessa storia su due piani sfasati e separati l’uno dall’altro, quello povero della trama e quello ricco del concetto.
Elisa Ciofini