Gian Arturo Ferrari, un “ragazzo italiano” alla ricerca della propria identità

Ragazzo italiano, Gian Arturo Ferrari
(Feltrinelli Editore, 2020)

ragazzo italianoNon è mai troppo tardi per iniziare a scrivere romanzi, soprattutto per uno che ha alle spalle una vita intera nell’editoria come Gian Arturo Ferrari, ex direttore generale di Mondadori, che esordisce ultrasettantenne con Ragazzo italiano, edito da Feltrinelli e nella cinquina (pardon, sestina) del Premio Strega di quest’anno. Ferrari racconta tre lustri di storia italiana dal dopoguerra sino ai primi anni Sessanta attraverso tre fasi della vita di Ninni, che seguiamo nell’infanzia, nella pubertà e nell’adolescenza; co-protagonisti sono i luoghi della vita di Ninni, i quali rappresentano tre volti dell’Italia di quegli anni: l’Emilia rurale e contadina di Querciano, l’industria lombarda di Zanegrate e infine la Milano che si avvia verso il boom economico.

Querciano rappresenta l’Emilia produttiva, in cui uomini e donne costituiscono una comunità solidale, al netto delle lotte tra bianchi e rossi à la Don Camillo e Peppone. È il luogo mitico delle origini, il posto nel mondo in cui Ninni si sente a casa, dove trascorre le lunghe estati dell’infanzia con la sua amata nonna, emblema di un mondo contadino che ormai sta scomparendo e che resiste invano ad un progresso ormai inevitabile. La lombarda Zanegrate è esattamente l’opposto: il paesino industriale in cui Ninni vive d’inverno è uno scenario fatto di persone gelide, intrise di una diffidenza assoluta che è lascito amaro della guerra, della quale nessuno parla perché troppo ha ferito.

Ninni odia profondamente il mondo industriale di Zanegrate e non può che tirare un respiro di sollievo quando lo lascia per Milano, dove vivrà il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e diventerà Piero, abbandonando il suo (troppo provinciale) nomignolo da bambino. Il capoluogo lombardo si distingue per le sue contraddizioni: da una parte le insegne luccicanti e le vetrine dei negozi del centro, dall’altra le baracche e i prefabbricati degli immigrati dalle campagne che vivono nell’indigenza, ma che insistono a rimanere perché ‹‹meglio manovali a Milano che a zappare a casa loro››. Nel mezzo le macerie della guerra, ferite di una Storia che tutti cercano di rimuovere lavorando come in preda a quella febbre assurda che è la società dei consumi, un nuovo sistema di bisogni fatto di elettrodomestici, televisione, grandi catene di negozi e vacanze al mare.

Ninni diventa sé stesso stando a contatto con queste “tre Italie”, ma anche e soprattutto attraverso la scuola, a cui Ferrari dedica le pagine forse più interessanti del libro. La scuola di Zanegrate è classista, non considera la personalità del bambino, ma la condizione economica della sua famiglia; la disposizione dei banchi nell’aula e i voti della maestra ricalcano la gerarchia sociale che si intende perpetuare: chi come Ninni è figlio di poveri (immigrati per giunta) non è di certo aiutato a migliorare la propria condizione grazie allo studio. Diversissima è invece la scuola di Milano con l’illuminato Maestro Poli: laica e democratica, non guarda alla provenienza di ognuno, ma dà a ciascuno le medesime possibilità. Le scuole medie sono invece il luogo in cui l’istruzione ricalca il meccanismo della produzione industriale, che rende il bambino un impiegato a tutti gli effetti.

Il protagonista reagisce alla noia di questa industria del sapere scoprendo i libri e la letteratura, che d’ora in poi diventerà la sua vera casa e che lo condurrà al liceo classico, lì dove si sprigiona la vitalità della cultura, unica speranza di riscatto. Qui Piero frequenta la classe dirigente e cerca sé stesso assieme agli elitari compagni di classe, i quali sono presi dalla ricerca di un gruppo con cui identificarsi attraverso la politica, la religione, il vestire o addirittura il bere (con i ‹‹bevitori del Martini››).  Questo bisogno di identità assomiglia molto a quello dell’Italia degli anni ’60, la quale cercava sé stessa tra forze molto contrastanti come il comunismo, il socialismo e il cattolicesimo.

La rappresentazione della grande Storia attraverso le piccole esistenze dei personaggi costituisce il cuore di Ragazzo italiano, ma anche la sua stessa debolezza. Ferrari racconta gli oggetti, i luoghi e le abitudini dell’Italia di quegli anni con una dovizia di particolari tale da far credere quasi che si tratti di un romanzo autobiografico. Eppure questa profonda conoscenza non conduce alla creazione di personaggi altrettanto vividi, ma anzi unidimensionali: è come se Ferrari avesse creato con grande perizia gli spazi del romanzo senza preoccuparsi di farli abitare da personaggi all’altezza. Le dinamiche relazionali tra i personaggi vengono esibite in modo esplicito, senza lasciarle trasparire dai gesti e da quel non-detto che in letteratura è decisivo quanto necessario. Si finisce così per strizzare l’occhio alla fiction televisiva, la quale del resto ha attinto a piene mani al momento storico raccontato nel romanzo.

La scrittura di Ferrari è netta, telegrafica, con un tono quasi cronachistico che non lascia trasparire alcun “piacere del testo”, dal momento che l’attenzione è concentrata unicamente sul “cosa” si racconta piuttosto che sul “come”. Pur partendo sempre dalla prospettiva di Ninni, la narrazione in terza persona non aiuta a “riscaldare” il racconto, ma risulta fredda e monocorde. Il nocciolo delle difficoltà del romanzo mi sembra paradossalmente contenuto in una critica che il Maestro Poli fa a un tema di Ninni:

“Qui c’è troppo, non troppo poco. Troppi particolari, troppe minuzie. Un tema non è come il manuale del piastrellista, che deve spiegare ogni cosa passo dopo passo perché poi quello il pavimento deve farlo. Il bello del tema è che lascia capire molto dicendo poco. Pochi particolari, da cui io devo vedere l’insieme. È un disegno, non una fotografia” (p. 109[1])

Ferrari ha creato proprio questo: una serie di fotografie dell’Italia del dopoguerra, un prodotto editoriale e di artigianato che in quanto tale è funzionale solo a un suo consumo, senza però lasciare il segno come invece un’opera letteraria (forse) dovrebbe fare.

Giacomo De Rinaldis


[1] Il numero di pagina fa riferimento al formato epub.

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