“Ma questo è il futuro e non importa”; un’adolescenza in Bolivia

Gli anni invisibili, Rodrigo Hasbún
(Sur, 2020 – trad. di G. Zavagna)

anni invGli anni invisibili è un romanzo che comincia in modo insospettabile, dal titolo sibillino il cui significato si lascia ricostruire e interpretare capitolo dopo capitolo. Un testo dall’inizio quasi pacifico, quasi lento, quasi normale. Fino a quando le cose cominciano a sprofondare in un precipizio vorticoso dove tutto confluisce e s’intreccia, indissolubile come una condanna.

La trama, articolata su un doppio piano temporale, si svolge a Cochabamba, città boliviana e luogo d’origine dell’autore, e a Houston, in Texas. Hasbún alterna i piani temporali nelle cinque parti di cui il libro si compone. La linea narrativa ambientata a Cochabamba si incentra sulle vicende di un gruppo di liceali, compagni di classe e amici, focalizzandosi in particolare sui personaggi di Andrea e Ladislao. A ventuno anni esatti di distanza da questi avvenimenti subentra un nuovo narratore, da onnisciente a interno: si tratta del personaggio secondario di Julián nella prima storyline.

Il ragazzo che nella prima linea narrativa è chiamato Julián, da adulto ha cominciato a scrivere un libro sulle vicende che hanno visto coinvolti lui e i suoi compagni di classe al liceo; è lui l’autore della narrazione sui fatti di Cochabamba. La donna che lui chiama Andrea è venuta a saperlo e i due si accordano per incontrarsi a Houston, dove il primo risiede, per parlare del libro e ricordare il passato. All’aumentare del tasso alcolemico condiviso dai due vengono meno le inibizioni e gli attriti, dovuti al tempo trascorso e a una confidenza che forse non è mai stata davvero raggiunta neanche prima. I fatti si approfondiscono, alcune menzogne si rivelano per quello che sono realmente, e le due linee narrative si incastrano l’una nell’altra spiegandosi e completandosi a vicenda – in modo esplicito, attraverso le precisazioni di Andrea, o implicito, affidato alle deduzioni che il lettore può trarre dai racconti sovrapposti.

Quella che sembrava la narrazione di vite adolescenziali dagli aspetti problematici ma tutto sommato regolari, divise tra picchi opposti di dramma ed euforia come ogni adolescenza ‘privilegiata’ che si rispetti – e quella dei nostri protagonisti, seppur in gradi differenti, non fa eccezione, come emerge da un dialogo tra la gringa Joan e Ladislao – assume una colorazione gradualmente sempre più cupa, più dark, più violenta, fino alla sera che cambia tutto.

L’atmosfera soffocante della seconda parte del romanzo lascia poco spazio alla speranza. Una sorta di determinismo s’insinua potente nella vicenda, lasciando il lettore e i protagonisti a rimuginare su quanto incidano su di noi fatti piccoli e grandi, sullo scarto esistente fra le grandi aspettative giovanili e il loro fallimento nel passaggio all’età adulta. Nelle ultimissime pagine, in particolare, questo contrasto si fa tanto vivido da risultare doloroso. L’autore fa sfoggio di una penna scaltrita nella costruzione di una tensione crescente, a tratti tragica.

Al tempo stesso alcuni elementi suggeriscono che il narratore possa non essere completamente attendibile. Forse, in fin dei conti, non tutto è segnato. Forse anche dai momenti più bui e dai traumi più dolorosi si può emergere conservando una briciola, anche minima ma vitale, di speranza; la bravura di Hasbún sta nel coinvolgerci al punto da spingerci a dimenticarlo.

Alessia Angelini

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