La moglie del Colonnello, Rosa Liksom
(Iperborea, 2020 – trad. D. Sessa)

Quando studiavo storia, non ho mai dedicato più di un pensiero fugace a personaggi come Eva Braun e Claretta Petacci: la parte razionale e riflessiva di me ha sempre saputo che dovevano esser state delle persone con pensieri, emozioni e sentimenti complessi; ma l’altra parte, quella irrazionale e severa, non riusciva a dare spessore in alcun modo alle donne che avevano abbracciato gli ideali di Hitler e Mussolini fino alla morte. Non mi sono mai avvicinata alla letteratura e alla cinematografia sul loro conto e non mi aspettavo che La moglie del colonnello, recente uscita di Iperborea firmata da Rosa Liksom e tradotta da Delfina Sessa, mi mettesse con forza nella testa della compagna di un gerarca nazifascista.
Il romanzo mi ha attratta – oltre che, innegabilmente, per la bellissima copertina – perché parla di Finlandia, nazione che amo, e nello specifico di Lapponia, regione incantata e magica. La storia raccontata in queste pagine è invece cruda e brutale, ma non per questo meno attraente o meritevole di lettura.
La protagonista racconta la storia della propria vita a partire dall’infanzia negli anni Venti del Novecento. I momenti di svolta nella sua esistenza sono legati ad un profondo nazionalismo, all’amore per la natura e per la propria terra e quindi, inevitabilmente, alla passione politica. In quegli anni la Finlandia attraversa un periodo burrascoso e controverso, compressa tra la Russia e l’Europa nel tentativo di affermare la propria indipendenza. Il conflitto, oltre che politico, è anche di classe: la borghesia bianca punta a far riconoscere l’identità nazionale dall’Europa e dalla Germania prima di tutto, mentre i rossi socialdemocratici guardano alla Russia.
La famiglia della protagonista appartiene proprio alla Guardia Bianca e lei fin da piccola viene educata al culto del leader forte e sicuro in grado di guidare la nazione e il mondo verso il futuro e nel mito della sottomissione della donna, necessaria ad esaltare la forza dell’uomo. La figura del Colonnello, amico del padre della giovane e figura attorno a cui proliferano leggende di stupri e violenze disumane, levita come un’ombra del destino su tutta la sua vita fino a reclamarla prima come amante, poi come fidanzata e infine come moglie.
Insieme al Colonnello, la voce narrante vive gli anni Trenta e Quaranta dal punto di vista degli oppressori, visita i campi di concentramento tedeschi e amministra quelli finlandesi. L’amore viscerale e incontenibile che la lega al Colonnello è legato inestricabilmente all’amore per la guerra; una passione che si nutre di sangue, lacrime e romanticismo.
Non conosciamo il nome della protagonista, sebbene la preziosa Nota Storica di Ingrid Basso in chiusura al romanzo sveli che il personaggio è ispirato alla figura storica della scrittrice finlandese Annikki Kariniemi. È definita solo come moglie del Colonnello e lei stessa si fregia con orgoglio di questo titolo, anche quando il Colonnello è solo un lontano ricordo nella sua esistenza. Il romanzo riesce quindi nella difficile impresa di dipingere una figura femminile la cui vita è stata vissuta per la maggior parte all’ombra di un uomo terribile, per il quale ha compiuto atti terribili, senza assolverla né condannarla.
La donna racconta la propria storia da anziana, quando ha vissuto la vita abbastanza da saper imprimere un ritmo alla sua narrazione con autoconsapevolezza e maturità perfettamente rese dalla prosa vivace di Liksom. Le parti più cupe della vicenda vengono descritte senza sconti, ma con una lucidità che non lascia spazio a pietismi o compassione. La protagonista è stata certamente una vittima, ma non chiede di essere perdonata per quello che ha fatto né che la sua sottomissione venga giustificata o capita: racconta e basta, in attesa di essere ascoltata.
Il bisogno di esprimersi al di là delle convenzioni e di ciò che le è permesso emerge come cifra distintiva del personaggio nella splendida pagina in cui, ancora ragazza, scopre la passione per la scrittura. Inizialmente questa inclinazione artistica viene incoraggiata dal Colonnello, fiero di poter sfoggiare la sua poetessina, ma quando la letteratura comincia a diventare per lei un piano di vita coerente e strutturato, l’uomo ritira la sua approvazione.
Gli chiesi perché aveva smesso di incoraggiarmi e rispose che la poetessina sarebbe morta, se mi fossi messa a scrivere sul serio. Una donna poteva scrivere un libro, ma due no; scrivere non andava bene perché mi distoglieva da lui. Risposi che un po’ era vero. Quando si scrive si è da un’altra parte, nel proprio mondo, e gli altri restano fuori. Ma io non volevo smettere, perché capivo che più il Colonnello mi sottometteva, meno ero viva. Diciamo pure che ero viva soltanto quando scrivevo. (p. 51)
È in quel fare sul serio che risiede la bellezza di questo libro, una serietà che è sinonimo di complessità e che è tempo venga restituita alle donne della storia che sono state relegate nell’ombra, anche nell’orrore e nella barbarie. Non solo e non sempre vittime, mai incasellabili in una categoria, tutte con una storia diversa da raccontare.
Loreta Minutilli