La riscoperta del dio del luogo

Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza genio, Stefano Cascavilla
(Exòrma – 2021)

cascavillaIl dio degli incroci di Stefano Cascavilla si apre con un’immagine: la foto di uno dei vulcani di Antigua de Guatemala, che è il punto di partenza per la riflessione dell’autore sul genius loci. Proprio di fronte al vulcano, scrive Cascavilla nel capitolo introduttivo, si può percepire una sensazione che «permea lo spazio, lo determina, incide sulla vita» (p. 8). È la presenza dello spirito del luogo, quella presenza invisibile che, manifestandosi, porta l’uomo a sentirsi attratto o respinto da un determinato spazio.

L’autore, paragonando varie culture diffuse nel mondo – antiche e moderne –, e le loro relative leggende e divinità, riporta l’attenzione sui rapporti particolari che l’uomo può intrecciare con i luoghi in cui vive o in cui si trova a transitare. Si viene a delineare una distinzione tra uomo moderno e tradizionale, lo scarto tra i quali è segnato dal diverso rapporto dell’Io con il Tutto: nel caso dell’uomo tradizionale, «l’io non ha confini precisi ma si fonde con la Natura circostante. La psiche non è solo nel soggetto: è diffusa nella foresta, nelle nuvole, nel tuono e nelle montagne» (p. 28). Si riprende in questo modo il concetto di participation mystique dell’antropologo Lévi-Bruhl, che indica proprio la capacità insita nell’uomo di sentirsi parte del cosmo, che è andata svanendo con lo sviluppo sociale e tecnologico, insieme con le credenze religiose e mitiche, screditate dal mondo moderno come mere superstizioni.

La preponderanza dell’Io, unita alla mancanza di empatia con il Tutto, genera un rapporto non sinergico con l’ambiente circostante: se nell’antichità erano le manifestazioni di volontà invisibili e inspiegabili a determinare l’atto fondativo di una città (o di un luogo di culto), nel mondo moderno, e desacralizzato, il luogo è inteso come «spazio omogeneo e vuoto, cartesiano» (p. 54). L’assenza di personalità intrinseca degli spazi, sostituita da un Io umano autoreferenziale, porta alla colonizzazione della natura: nelle società moderne è ritenuto possibile, se non ovvio, «costruire nei dirupi, sigillare corsi d’acqua in un sarcofago di cemento, abitare in un seminterrato» (p.50). Eppure, nota l’autore – che, oltre a essere un appassionato di antropologia e mitologia, è architetto – l’utilizzo della sola ragione nelle opere di edificazione «comporta un rischio molto alto di insuccesso, dal punto di vista dell’abitare» (p. 75). La mancanza di un “centro”, inteso non urbanisticamente ma in quanto luogo di contatto tra la dimensione fisica e quella invisibile, implica una mancanza non visibile ma percepibile, che influenza a livello inconscio la psiche dell’uomo e quindi il suo modo di relazionarsi con lo spazio fisico. Sebbene la participation mystique sia identificata come pratica dell’uomo tradizionale, permane ancora assopita nella coscienza dell’uomo moderno: e proprio con il suo manifestarsi segna il successo o l’insuccesso di un progetto architettonico.

Ad ogni luogo, dunque, corrisponde una personalità, che si palesa tramite sensazioni invisibili trasmesse all’uomo e/o tramite l’elaborazione di un mito o di una divinità. Questa personalità è identificabile con l’Anima del Mondo, corrispondente all’idea che «il Mondo intero, e la materia di cui è costituito, posseggano una qualità immateriale, cioè un’anima, esattamente come l’uomo» (p. 192). L’intuizione di un mondo animato –  ricorda l’autore – persiste e ritorna in tutta la storia dell’uomo, dall’antichità greca fino all’epoca moderna, risultando quindi come «carattere atemporale di cui l’inconscio collettivo è informato» (p. 205).

Il dio degli incroci suggerisce al lettore di imparare a riconoscere non solo il campo materiale (che corrisponde alle qualità visibili di un luogo), ma di attuare un percorso che consenta di riuscire a connettersi con il campo trascendente, di entrare in connessione con l’anima del luogo  – e che già, inconsciamente, influenza la nostra vita. Per fare ciò è necessario abbandonare l’uso puramente accidentale, accessorio o strumentale con il luogo, per sentire invece ciò che la sua anima può comunicarci.

Il saggio di Cascavilla, mantenendosi su un livello suggestivo ed evocativo – in ogni capitolo sono presenti descrizioni interiori e sensitive di luoghi attraversati e percepiti – manifesta in modo concreto l’urgenza sempre più impellente per l’uomo contemporaneo di ritracciare il proprio rapporto con l’ecosistema Terra e di ridefinire il proprio ruolo all’interno di esso.

Enrico Bormida

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