“Linea nigra”: per un nuovo canone di scrittura bianca

Linea nigra, Jazmina Barrera
(Trad. Federica Niola – La Nuova Frontiera, 2022)

Linea nigraJazmina Barrera torna in libreria per La Nuova Frontiera con un libro potente, poetico e politico che ha un obiettivo ambizioso: come un neonato risale la linea nigra che si forma in posizione mediana nell’addome della madre per indicare la via ai capezzoli, fonte di nutrimento, così l’autrice messicana percorre la via tracciata da Virginia Woolf e Hélène Cixous, fino a nutrirsi delle lezioni di scrittura di Ursula K. Le Guin per tentare di riscrivere il mondo. Di fatto, Linea nigra, nella precisa traduzione di Federica Niola, è un libro bianco, riprendendo il significato che il termine “scrittura bianca” ha per Cixous, ossia quello di atto politico: è un libro scritto col corpo, col latte materno.

Linea nigra comincia quando Barrera scopre di essere incinta, è inframezzato dal doloroso parto, e finisce durante l’allattamento. La gravidanza, riflette Barrera, è un cambiamento nel tempo e, dunque, consiste intimamente di una trama; è il racconto nella sua accezione atavica, si potrebbe dire. Nonostante ciò, innumerevoli sono le storie che trattano di agonia e di morte, e ben poche quelle che invece parlano di nascita, gestazione, mestruazioni, sesso: come se tante donne si fossero arrese a ridimensionare queste esperienze su quello che gli uomini sono disposti a sentire. Come a volersi ribellare a questa tradizione, l’autrice fa la sua personale e rumorosa rivoluzione costruendo un diario della maternità che è anche saggio, raccolta di aneddoti, riflessioni, esperienze che ruotano attorno a questo surreale, perturbante e meraviglioso mutare del corpo di donna in corpo di madre.

So che c’è una parte del mio corpo che non sono io, che si muove autonomamente e ha i suoi geni. Una parte di me che muove mani e gambe e bocca e ha le unghie, ma si nutre delle mie stesse cose, va dove vado io e dipende da me per esistere. […] mi sento come anestetizzata, come se fossi qui senza esserlo. Forse perché una parte di me sta costruendo qualcun altro, o perché una parte di me, in questo momento, è qualcun altro. È tutto molto confuso, ma quello che volevo scrivere è questo: la gravidanza è una storia di Doppelgänger.

Con infinita sincerità e curiosità, Barrera racconta a intermittenza, per frammenti e interruzioni, tutta la stranezza di assistere alla distruzione del suo corpo come lo conosceva prima – e, insieme, al ribaltamento di idee e progetti – e alla sua conseguente trasformazione in contenitore di un doppio perturbante. Senza mai sfociare in toni apologetici e celebrativi, ci mostra il lato più oscuro e grottesco della gravidanza, ad esempio paragonandola al racconto L’Horla di Maupassant o riferendosi al Frankenstein di Mary Shalley. Tra una visita dal ginecologo, le nausee, i ricordi di bambina mentre sfoglia un albo illustrato che spiega la riproduzione sessuale, Barrera, facendo sapientemente leva su certa letteratura gotica, crea un’atmosfera fantastica e quasi allucinata, che è propria di quando vita e morte, realtà e magia, nutrimento e devastazione assottigliano i loro confini fino a confondersi.

La grandissima abilità dell’autrice sta nell’aver concepito uno spazio emotivo e intellettuale nel quale raccontare la propria esperienza attraverso un mosaico di voci, che evoca dal suo personale pantheon di scrittrici, fotografe, pittrici che hanno, prima di lei, rappresentato la maternità. Natalia Ginzburg, Margaret Atwood, Rachel Cusk, Sylvia Plath, Tina Modotti sono solo alcuni dei nomi che vanno a plasmare questo luogo delle madri, una dimensione parallela e senza tempo, l’unica in cui l’autrice può trovare supporto per comprendere la titanica e miracolosa metamorfosi che sta avvenendo nel suo corpo. «Cerco libri sulla gravidanza come fossero guide turistiche», confessa Barrera. E più avanti: «Voglio un canone, una tradizione. E anche una rottura, libri contro il canone. Nuovi generi letterari». Di questo auspicato nuovo canone di produzioni sulla gravidanza, sicuramente Barrera ha rintracciato e brillantemente legato insieme le colonne portanti, grazie al suo spirito collezionista che non la ha abbandonata nemmeno durante l’allattamento – bambino in un braccio e cellulare per fare ricerche nell’altro.

Il risultato è un libro ‘microchimerico’, come l’autrice stessa lo definisce: così come, all’interno del ventre materno, avviene uno scambio di cellule fetali e cellule materne, allo stesso modo questo libro è fatto di altri libri, altre voci, altre nature. E, come Silvestre, il figlio di Barrera, si è fatto nell’utero, così questo libro si è fatto da solo, per una estrema e nitida urgenza: è un libro fecondo, che con una prosa lucida e precisa è in grado di tenere insieme tutti i molteplici sensi della creazione femminile. La scrittura di Barrera è capace, inoltre, di stabilire un contatto fisiologico con il tutto che ci circonda, ricordandoci la nostra natura animalesca e primigenia: mammiferi che aprono sguaiatamente la bocca per essere nutriti, corpi che si mescolano, esseri fallibili in balia della malattia e dei terremoti – come quello che colpisce Città del Messico mentre l’autrice è incinta.

«Tutti noi siamo la storia di una parte del corpo di qualcun altro» dice Anna Prushinskaya: tutti, donne e uomini, siamo coinvolti in quella miracolosa e incomprensibile trasformazione che è la gravidanza e, auspicabilmente, questo libro scritto con latte materno troverà innumerevoli corpi da nutrire con le voci e le storie che contiene. Magnifiche incursioni nella cultura indigena messicana rendono questo viaggio all’interno della maternità ancora più esotico, tra montagne che si pensava partorissero i popoli e la dea Coatlicue, madre della terra che ha allattato le stelle. Linea nigra è un grande utero che contiene alcune delle declinazioni della maternità che nella nostra società sono ancora considerate come tabù, e la sua lettura è necessaria affinché anche il nostro linguaggio possa arrivare ad includerle tutte. Un po’ come la lingua dei kiataw, che ha diverse parole per dire ‘madre’ a seconda che sia madre che genera maschio, femmina, madre di madre, madre del giorno o della notte, madre che non può più essere madre. Così, sarebbe bello che anche noi imparassimo prima a leggere e poi a scrivere col nostro corpo tutte le sue forme possibili.

Beatrice Palmieri

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