Strega, una fiaba gotica patriarcale

Strega, Johanne Lykke Holm
(NN Editore, 2023 – trad. A. Stringhetti)

stregaStrega arrivato (quale ironia!) nella cinquina del Premio Strega Europeo di quest’anno – è l’esordio di Johanne Lykke Holm, considerata giovane promessa della letteratura contemporanea svedese, già vincitore dell’English PEN award e selezionato per altri prestigiosi premi letterari internazionali. Incentrato sulle vicende di nove ragazze arrivate come lavoratrici stagionali in un hotel in montagna, il romanzo traccia un inquietante ritratto, tanto grottesco quanto realistico, del modo in cui una società patriarcale asservisce e addestra le donne a fare le donne, a non fare domande scomode, a obbedire agli ordini e ai capricci dell’estetica, a perdersi nella ripetizione maniacale di gesti e lavori manuali alienanti e spesso non necessari.

Il romanzo inizia con le riflessioni di Rafa, protagonista diciannovenne che si prepara a lasciare per la prima volta la sua casa natale per viaggiare alla volta di una cittadina nelle Alpi italiane, Strega (così anche nell’originale svedese), cercando una via di fuga, forse un modo per emanciparsi o scappare dalla routine, senza sapere bene cosa aspettarsi poi da questa millantata vita adulta lontana dal nido. Arrivata, conosce le sue compagne, giovani ragazze come lei e diverse da lei, che vivranno in simbiosi fino a fare gli stessi sogni e a intendersi senza bisogno di troppe parole. Sopra di loro tre figure formatrici, statuarie e complementari, facce diverse di una medesima autorità che si serve del metodo educativo più conveniente in base al momento.

Le ragazze imparano e si abituano a una vita straniata in una bolla fuori dal mondo, guardando di tanto in tanto da lontano il monastero che s’intravede dalle finestre ai piani alti, preparandosi ad  accogliere ospiti che non arrivano mai; e quando finalmente questi si palesano, in occasione di una festa cittadina, accade qualcosa che cambia il ritmo in modo irreparabile e incrina gli equilibri della gabbia dorata in un crescendo che rovina fino all’epilogo.

A volte allucinatorio e sognante, a volte estremamente crudo, il romanzo, con i suoi riferimenti esoterici a rituali sacrificali e all’antica arte della stregoneria – che regolarmente per lunghi secoli è stata attribuita a ogni donna colpevole di risultare eccentrica rispetto alle norme sociali del femminile –, assume i tratti di una fiaba gotica, nella dimensione periferica e decadente di un hotel di montagna lontano dai fasti passati, animato da ragazze che vi vagano come eroine tragiche o anime in pena.

La scrittura di Holm straborda di richiami al mondo sensoriale, con ricchissime descrizioni, a volte estremamente elaborate, materializzazioni dell’astratto e un accentuato gusto per la sinestesia: l’autrice, durante un incontro allo scorso Salone del libro di Torino, ha definito questa la conseguenza di una percezione del mondo ansiosa, sempre all’erta, caratterizzata da sensi iperattivi e implacabili. Frequenti anche i riferimenti, anche molto specifici, alla botanica e all’erboristica, oltre a rimandi lessicali alle dimensioni sacrale e rituale; lo stile è spesso ellittico, reticente, parco di spiegazioni e ricco di simbolismi. Un modo di narrare che decisamente consegna al lettore più domande che risposte.

Un modo di narrare che, in alcuni casi, fa assomigliare il racconto in prima persona di Rafa a una ininterrotta testimonianza a processo di un crimine. Non a caso la primissima pagina di Strega si apre con il presagio di un crimine definito attraverso poche, incisivissime parole, quasi una dichiarazione di intenti liscia e brutale:

«Sul letto c’erano forcine per i capelli, sonniferi e mutande di cotone. Le lenzuola erano macchiate di latte e sangue. Pensai: Se una qualunque persona di buonsenso vedesse una fotografia di questo letto, penserebbe alla ricostruzione di un femminicidio o di un rapimento brutale. Sapevo che la vita di una donna può trasformarsi da un momento all’altro nella scena di un crimine. Non avevo ancora capito che vivevo già in quella scena del crimine, che la scena del crimine non era il letto, ma il corpo, e che il crimine era già avvenuto»

Contribuiscono a dare questa impressione espressioni come «Lo vidi accadere» che ricorrono in mezzo ad alcune tra le numerose accurate descrizioni che costellano il romanzo.

Il finale resta a mio dire aperto, privo di una interpretazione univoca. Il romanzo invita inoltre a riflettere, come sottolineato dall’autrice a Torino, sulla connivenza complicità di molte donne nei confronti del sistema patriarcale. Quante volte finiamo per non voler lasciar andare ciò che ci ingabbia? Questa la domanda di Holm al suo pubblico.

Alessia Angelini

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