Queste nostre piccole umane debolezze

Piccole umane debolezze, Megan Nolan
(NN Editore, 2023 – trad. T. Lo Porto)

nolanPiccole umane debolezze è il secondo romanzo dell’irlandese Megan Nolan, classe ’90, salita all’attenzione della critica con il suo sconvolgente esordio Atti di sottomissione (2021, pubblicato nello stesso anno da NN Editore come primo titolo della sua nuova collana Le fuggitive). Atti di sottomissione è un testo fortissimo, doloroso a livello quasi fisico, ed è stato naturale paragonare Piccole umane debolezze al suo fratello maggiore; la prima constatazione che ne deriva è che questa seconda opera non è una copia sbiadita, un tentativo di emulare l’intensità e il successo della prima: è diversa, e questo è un bene.

I due romanzi hanno però qualcosa in comune: in entrambi i protagonisti sono legati alla città di Waterford, luogo d’origine dell’autrice, e se nel primo si dividono tra questa e la capitale irlandese, nel secondo si muovono nei sobborghi londinesi, all’alba dell’ultima decade del secolo scorso. Nolan conferma la sua scrittura introspettiva e tagliente, ma se nell’esordio questa si dimostrava viscerale e tormentata, qui corrode in modo più sommesso, meno feroce ma costante.

La storia è quella di un giornalista che, nella speranza di pubblicare in anteprima lo scoop sensazionale a seguito di un tragico fatto di cronaca – la morte di una bambina – si chiude per un paio di giorni in un hotel assieme alla famiglia della principale sospettata, cercando di approfittare di questo vantaggio per scoprire tutto su di loro, per trovare motivazioni e colpevoli, sicuro di poter usare le sue consumate strategie per cavare da loro qualsiasi cosa voglia.

Loro, la famiglia – i Green – sono irlandesi, padre, figlio, figlia, trasferitisi a Londra una decina d’anni prima, e malvisti dalla gente del quartiere. Si dice siano dei disgraziati, che non sappiano badare alla bambina da quando la madre della ragazza è morta, che il ragazzo sia alcolizzato, che non abbiano lavorato un giorno della loro vita, che forse campino di sussidi statali. Il momento così grave espone la loro miseria nuda e indifendibile; e di queste loro miserie individuali, di questa ordinaria infelicità, il narratore onnisciente ci dà conto, sviscerando uno dopo l’altro il passato di tutti i protagonisti.

Il romanzo di Nolan rimette assieme i tasselli e mostra come faccia più notizia l’evento clamoroso della banale, ordinaria erosione della speranza di chi viene ignorato, lasciato indietro, laddove non deriso o disprezzato; di come spesso la fatica di star dietro allo standard di una vita “socialmente desiderabile” faccia più danni di una tragedia. Le ‘piccole umane debolezze’ del titolo sono tutti i fatti della vita umana che ci impediscono di funzionare ogni giorno al 100% come dei robot. C’è chi riesce a mettere una maschera e arrancare, andare avanti, e chi resta alla linea di partenza.

Si può essere persi in molti modi diversi. Persi nella nostalgia del passato e nel rifiuto del presente; persi in una infelicità generalizzata che trova sfogo su qualunque cosa; persi nell’immobilismo, nell’incapacità di scegliere e decidere cosa fare, chi essere; persi nell’illusione che il futuro apra a ciascuno lo stesso oceano dorato di possibilità. È difficile, ma necessario, affrontare la realtà, le sue prove e le sue ingiustizie, e assumersi comunque la responsabilità delle proprie azioni, sforzarsi di stare al timone e di non lasciarsi diventare passeggeri trasportati dalla corrente o fermi, lontani da qualsiasi destinazione.

Tramite i Green, Nolan ci mostra, senza mai nominarlo, il concetto di ‘trauma generazionale’, e nella fattispecie il modo in cui le ferite non rimarginate dei genitori condizionano i figli e i figli dei figli e così via, finché qualcuno non riesce a spezzare il ciclo; e anche che l’essere stati amati da bambini, al di là di errori, mancanze e difficoltà, resti una protezione per l’adulto, un faro a cui mirare nelle ore più disperate.

Con una scrittura lucida, tagliente, introspettiva ma non affettata, Nolan scava in una zona grigia – il nesso bambini-morte – e ci regala un libro bello, che fa un po’ male al cuore e a volte fa pizzicare gli occhi, da evitare se si ricerca pura leggerezza ma consigliatissimo in tutti gli altri casi, e in particolare a chiunque covi con cura i propri ordinary human failings.

Alessia Angelini

*immagine di copertina a cura dell’autrice dell’articolo.

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