La più amata – Teresa Ciabatti
Mondadori
La più amata di Teresa Ciabatti è, come si legge ormai ovunque su Internet, uno dei dodici romanzi finalisti al Premio Strega 2017, edito da Mondadori lo scorso febbraio. Quel che spesso non si legge è la vera natura di una storia autobiografica e potente, disincantata e struggente allo stesso tempo, che fin dal titolo si costruisce su una serie di contraddizioni affascinanti.
Lo scopo dell’autrice consiste, infatti, nel ripercorrere la propria vita e quella del padre, Lorenzo Ciabatti, con l’intento di comprendere meglio alcune dinamiche relazionali ed esistenziali che la coinvolgono, e nel tentativo di conoscere meglio sé stessa e il genitore, di ricollegare frammenti d’infanzia per farne un quadro finalmente completo. Tuttavia, questo porta la narrazione a percorrere strade decisamente imprevedibili.
“Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace. Voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto, deve esserci un’origine, ricordo, collego. Deve essere successo qualcosa. Qualcuno mi ha fatto del male. Ricordo, collego, invento.
Cosa ha generato questa donna incompiuta?”
Basta leggere queste poche righe del quarto di copertina per intuire che la trama non è poi prevedibile come immaginato e che, anche nello stile e nell’andamento del discorso, c’è forse più di una sorpresa ad attendere il lettore. Cimentandosi effettivamente con l’opera e leggendo anche solo il prologo, si scoprirà che l’intuizione era millimetricamente esatta.
Fin dalle primissime pagine, la lingua della Ciabatti si fa visiva e densa come poche, caratterizzata da una spontaneità che, all’interno di una simile autofiction, diventa ancora più calzante e trascinante di qualunque aulicismo. Tra una frase breve e l’altra, tra una cascata di virgole e una serie di “a capi” consecutivi, si impara in fretta a stare al passo con la scrittrice e ad immaginarla quasi parlare ad alta voce di fronte a sé, con la voce seria e profonda di chi non ha intenzione di mentire o di girare intorno a certe verità.
E quella che viene sondata capitolo dopo capitolo, saltellando da generazioni passate ad episodi tremendamente contemporanei, è una materia friabile e distruttiva. Si tratta delle memorie di un’intera famiglia, analizzate per la prima volta attraverso le lenti di una donna consapevole, onesta con sé stessa e stanca di non capire. Si tratta di un intreccio padre-figlia fatto di vergogne, di ammirazione, di violenza, di delicatezze e di contrasti – motivo per cui, per esempio, Teresa è sì “la più amata”, ma è anche la stessa a soffrire di certe vicende legate al proprio idolo personale e ad essersi trasformata in un’adulta scontrosa e dis-equilibrata.
Per l’intera durata della storia non c’è spazio per il pudore, per gli inni, per certe maniere artificiosi di dirsi più belli, o più forti, o più santi. Al contrario, a collegare riflessioni e aneddoti è spesso un filo rosso di anormalità, di sedicente scabrosità, di nervoso tentativo di trovare pace nonostante i fallimenti, le paure, le situazioni imbarazzanti, le malattie, gli abbandoni, i silenzi, le menzogne, le spalle voltate, i vuoti e i pieni.
Sola e in piedi, risoluta a fare i conti col bandolo di questa lunga e intricata matassa, Teresa Ciabatti figlia, amante, bambina, sorella, essere umano, adolescente, anziana. Sola eppure cosciente del pubblico a cui sta confidando racconti di consanguinei, fotografie, dialoghi, palloni da calcio, interrogativi e galline bianche. Sola eppure affamata di spiegazioni, di conti da far quadrare, di affetti da far combaciare, di giornate laceranti da risanare. Obiettiva e ossessiva a un tempo, eppure lucidissima nell’elaborare ogni singolo ragionamento, nel rifare all’inverso un terreno già percorso, ma il cui significato rimane nebbioso.
La più amata è, dunque, una fiaba d’infanzia diversamente a lieto fine, una confessione a posteriori che non risparmia nessuno, un urgente monologo riparatore e onirico, che nonostante i voli pindarici, le disillusioni e gli amori perturbanti sta sempre coi piedi ben piantati per terra, un occhio a chi legge e un altro a chi a vivere, nonostante l’età, non ha ancora imparato senza farsi del male.
Eva Luna Mascolino
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