“Gli aspetti irrilevanti” di Sorrentino si sforzano ma (forse) non ci riescono

Chiunque mi conosca sa che nutro una venerazione (alquanto imbarazzante) per Paolo Sorrentino. Ho visto tutti i film, letto il precedente libro (Hanno tutti ragione, ndr), conosco a memoria buona parte delle sceneggiature dei film, piango sempre di fronte ad alcune scene nonostante le abbia già viste e riviste. Certamente, insomma, non potevo esimermi dal leggere anche l’ultimo suo libro: Gli aspetti irrilevanti, edito da Mondadori nel 2016.

Dico tutto ciò come nozione preliminare, così forse si comprenderà ancor meglio quanto io sia dispiaciuta nello scrivere alcune – non tutte – delle cose che leggerete qui di sotto. La tentazione di parlare solo delle sensazioni personali è forte, ma voglio essere obiettiva, accantonando per un attimo l’amore che nutro per qualsiasi opera del nostro autore.

Partirei dal presupposto che questa è una raccolta di racconti, il che è un elemento a favore del libro; mi sento di dire che viviamo in un mondo che ha grande bisogno di racconti, sommersi come siamo da romanzi su romanzi. Poesia e racconti sono in via d’estinzione, e forse c’è bisogno di ricordarsi che anche queste due espressioni sono letteratura. Quindi, bravo Sorrentino. I racconti sono quasi tutti indipendenti gli uni dagli altri, e prendono le mosse da fotografie (scattate dal fotografo Jacopo Benassi) poste all’ inizio di ogni storia. Ogni storia, una fotografia; ogni storia, un personaggio nuovo. L’idea di per sé è originale, il problema risulta nella messa in opera.

Mano a mano che leggevo sentivo qualche nota stridente, qualcosa non quadrava nella prosa, ma non capivo cosa. In fondo il libro mi piaceva. Solo verso la fine della lettura mi sono resa conto: la prosa era adatta ad una sceneggiatura, non certo ad una raccolta di racconti. Ora vi spiego.

Sorrentino tratteggia i suoi personaggi con poche pennellate, e su questo non credo ci sia nulla di male, anzi; ci vuole una certa arte nel parlare di qualcuno senza analizzarne ogni singolo pelo. La questione è che, nel fare questa delicata operazione, Sorrentino cerca “l’effetto”: quella frase esplosiva che ammutolisce il lettore, lo innamora e lo aggancia al racconto. Sarebbe bello e sarebbe stato gradevole, addirittura eccezionale, se ce ne fossero state una decina in toto di queste frasi ad effetto: il dramma è che ce ne erano una decina, ma per racconto. Capirete, quindi, che una lettura stracolma di dialoghi irrealistici e ad effetto, descrizioni pseudo-colloquiali et similia, non giova certamente al godimento generale dell’opera. Ed ecco perché sono sicura che, se questi racconti fossero stati cortometraggi, ne sarebbero usciti dei piccoli capolavori: certe situazioni, certe frasi, certe esplosioni sono meravigliose quando si guardano, ma a leggerle possono risultare forzate. Il risultato che Sorrentino ha ottenuto, almeno sulla sottoscritta, è un ricordo sbiadito di molti personaggi raccontati, e un ricordo invece vividissimo di poche memorabili frasi, totalmente avulse dal contesto.

Resta il fatto che il libro io l’ho letto con attenzione, ho apprezzato parecchi passaggi e non nego di aver provato, più di una volta, un insidioso senso di invidia nei confronti di un uomo che non solo crea dei film meravigliosi, ma riesce anche a gestire la penna con una certa maestria. Ancora una volta Sorrentino non riesce a farsi odiare totalmente da me; ma, in fondo, se mi è piaciuto Youth vuol dire che sono destinata ad amarlo per sempre.

Sorrentino2

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