La splendente – Cesare Sinatti
(Feltrinelli)
Uno degli universi che ci è più noto è quello dell’antica mitologia greca. Lo conosciamo per forza, anche se magari non lo abbiamo mai guardato da vicino. Fa parte del nostro immaginario e della cultura generale del nostro popolo, come una sorta di marchio che ci portiamo dietro perfino quando ci dimentichiamo della sua esistenza.
Siamo cresciuti con il mito del pomo della discordia ascoltato da un orecchio e con quello degli argonauti dall’altro, mentre Medea o Ulisse solcavano i mari, Achille decimava i nemici in battaglia e Zeus si innamorava dell’ennesima giovane, attirandosi la gelosia della moglie Era. Eppure, le riletture sull’argomento non ci stancano mai e, anzi, ci incuriosiscono come se ogni volta potessimo scoprire qualcosa di nuovo al riguardo.
Nel caso de La Splendente di Cesare Sinatti è effettivamente così. Ben ventiquattro i capitoli da degustare lentamente, tanti quanti sono i canti dei due poemi epici più noti del mondo occidentale, e com’è già accaduto l’intera narrazione prende spunto da un personaggio nello specifico: Elena dalle bianche braccia, la fanciulla troiana il cui epiteto dà il titolo al volume e alla quale si deve una guerra lunga dieci anni e una serie di episodi rimasta impressa a metà fra la leggenda e la storia.
La sua vicenda, alla pari delle altre su cui si sofferma l’autore, è osservata da una prospettiva insolita, con dovizia di particolari da un lato e con l’inaspettata assenza di figure soprannaturali a muovere le fila dei destini umani dall’altro lato. Non che l’Olimpo e i suoi abitanti vengano esclusi dall’opera: se ne fa menzione quando è doveroso, se ne ripercorrono gli atti e le intenzioni nei casi più celebri, ma si lascia allo stesso tempo molto spazio alla dimensione umana degli sviluppi.
Al centro dell’attenzione, infatti, sono personaggi sempre diversi, che mostrano la propria visione del mondo e che trascinano con sé i lettori in un vortice di pulsioni e di ragionamenti, di punti di vista e di aspettative, di delusioni e di credenze, al punto che l’intreccio sembra composto più da corpi che da parole, più da voci che da paragrafi.
Questo viaggio nella letteratura delle origini, dunque, è anche un percorso empatico, oltre che mistico. È una maniera per immergerci nelle nostre radici e per tornare a galla con le mani piene di reperti, di scoperte emozionali che non si pensavano nemmeno ipotizzabili e di insoliti collegamenti fra destini apparentemente distanti fra loro, come quello dei fratelli Agamennone e Menelao.
A guidarci tappa dopo tappa un narratore sapiente, dal linguaggio consapevole ed esperto, che non fa mai sfoggio di bravura e che intanto riesce a creare intorno a noi la giusta atmosfera, facendoci dimenticare che siamo a oltre due millenni di distanza dalle profezie che ascoltiamo o dai dialoghi che ci tengono fino alla fine con il fiato sospeso.
Peraltro, più il ciclo troiano avanza e più ci rendiamo conto che ad interessarci non è l’esito delle circostanze, già in qualche modo arrivato a noi per altre strade o immaginato per via di archetipi che si ripetono secondo cadenze analogiche, bensì lo stato d’animo dei singoli protagonisti, le riflessioni che accompagnano ogni tappa del cammino e i dubbi che assalgono vittime e carnefici un attimo prima che il loro ruolo diventi manifesto.
Quella di Cesare Sinatti è, in altre parole, un’analisi poetica e antichissima dell’animo umano e una rivisitazione in prosa di moti interiori con i quali lottiamo dalla notte dei tempi, attraverso un genere letterario offerto nuovamente alla portata di un grande pubblico, che non solo è in grado di comprenderne i passaggi senza difficoltà, ma che li segue con lo stesso acceso e instancabile interesse che dovevano avere gli ascoltatori di Omero nell’ottavo secolo avanti Cristo.
(Eva Luna Mascolino)
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