Come un giovane uomo – Carlo Carabba
(Marsilio, 2018)
“Da sempre aspettavo che la neve tornasse a cadere su Roma”. Si apre così il primo romanzo di Carlo Carabba, edito da Marsilio Editori nel 2017 e in finale al Premio Strega 2018. Un incipit che pone già l’attenzione sul fatto che la storia sia narrata in prima persona (da un alter-ego dell’autore che porta il suo stesso nome, come si scopre poco dopo) e che l’Italia contemporanea ne sia la protagonista, con al centro la sua capitale e un evento naturale inconsueto.
Una nevicata di quel genere il protagonista l’ha vissuta solo una volta, tanti anni prima, in una dimensione legata alla sua infanzia ricoperta di ovatta e di ricordi annebbiati. E proprio la chiusura di questo cerchio fra passato e presente è un punto cruciale per la sua esistenza, per quanto lui stesso non possa prevederlo. Spererebbe, anzi, che la coltre bianca lo sollevi da una fase di passaggio dura a morire e che lo rimetta in contatto con l’incanto fanciullesco di allora, mentre il cambiamento che avviene è di tutt’altro tipo.
Una sua cara amica d’infanzia, Mascia, scivola proprio a causa della neve e ha un incidente che la porta in seguito alla morte. Un lungo capitolo della biografia di Carlo si chiude, quindi, e fare i conti con la morte lo porta quasi forzatamente a confrontarsi anche quello che nel frattempo rimane. È così che il volume non si concentra su altri avvenimenti concreti e si sposta, invece, nell’interiorità dell’io narrante.
Il lettore viene così accompagnato fra memorie e riflessioni, rivisitazioni e commenti, pezzi di un puzzle che non sempre erano stati capiti nella loro forma o dimensione, frasi rimaste appese a un filo e finalmente riprese, volti sbiaditi e proiezioni mentali che si mescolano alla realtà fino a rischiare di sostituirla. Ne viene fuori un quadro variegato e completo sulla psicologia di un individuo alle prese con la propria formazione, al termine della quale riesce a sentirsi finalmente un giovane uomo e non più solo un ragazzo bloccato dal peso dell’esperienza e della rielaborazione psicoemotiva.
I richiami alla letteratura precedente sono evidenti e addirittura palesati, in particolare quello a Marcel Proust e alla sua Recherche, perché il meccanismo che porta Carlo a rivedere come in un film i giorni già trascorsi è spesso innescato da piccole azioni quotidiane, da input esterni e imprevedibili, attraverso i quali ci si immerge in un reticolo di sentieri già percorsi, di strade alternative, di vicoli mai notati prima.
Il tutto con uno stile elaborato e ricco di incisi, che ora sembra perdersi fra similitudini e immagini in qualche modo già condivise dal collettivo, ora stupisce per associazioni di idee interessanti e insolite. La lingua ne risulta erudita, ma non artificiosa, e sebbene sembri a tratti stancare per densità e digressioni, sa sempre condurre a uno scioglimento risolutivo coerente e compiuto.
Un viaggio di formazione, insomma, che porta con sé necessarie asperità e piacevoli scoperte, che trasforma il personaggio iniziale in uno più consapevole e meno disilluso, che sa valutare i propri sbagli senza demonizzarli, assumersi le proprie responsabilità senza vigliaccheria, fare pace con certe ferite e riallacciare rapporti stroncati dal tempo o dalla sorte, fino a quando nell’epilogo non appare un protagonista che non ha più paura della morte e che la accetta come rovescio della vita, accompagnato in questo dal canto e dal “sorriso comprensivo” di una Mascia spirito-guida.
(Eva Luna Mascolino)