Le vite potenziali, Francesco Targhetta
(Mondadori, 2018)
I trentacinque-quarant’anni sono, lo attesta a più riprese la nostra tradizione letteraria, un momento delicato della vita di ciascuno. Nel suo romanzo d’esordio, Le vite potenziali, edito da Mondadori (2018), Francesco Targhetta descrive quel malessere che tre uomini a metà della loro vita percepiscono ogni mattina guardandosi allo specchio.
Non sapere cosa sono diventati e quale significato dare alla loro vita è il problema di Alberto, GDL e Luciano: la loro affermazione nella azienda informatica Albecom come fondatore (il primo), brillante esperto di marketing (il secondo), apprezzato programmatore (il terzo) non sembra sufficiente.
Le responsabilità lavorative di Alberto gli hanno fatto assumere un atteggiamento dirigenziale anche nei confronti della sua vita privata, per quello che ne rimane: una strada che porta al logoramento esistenziale a meno di assumersi la responsabilità più grande, quella della vita altrui.
GDL invece è un venditore rampante, narcisista e insoddisfatto: «ancora in mutande, senza neppure rispondere a Veronica […], salì in camera e poi andò nel sottotetto, più distante da chiunque (Vero), più vicino a un qualche dio (cane) […]. In salotto la tivù era ancora accesa […]. GDL si accorse che gli stava venendo duro, e sorrise. Non era il segno più lampante che aveva ragione lui?».
Luciano, il personaggio forse più complesso, è malinconico, resiste con tenacia alla sua solitudine grazie a minute manifestazioni d’amore, un cenno a un automobilista o il cibo ai gatti randagi di Marghera. «I live alone, near Venice, rispose Luciano. Aveva imparato che la citazione di Venezia, invece di mettere malinconia, come avrebbe dovuto, provocava meraviglia, oltre a stornare l’attenzione dal contenuto della frase, che di lui diceva fin troppo».
Il libro di Francesco Targhetta ha anzitutto un intreccio ben costruito: le vite dei tre uomini si intersecano e convergono verso un unico punto in cui sarebbe possibile una tragedia, che viene però solo ipotizzata, sfiorata e lasciata passare. A ciò si aggiunge uno stile che riesce a restituire la malinconia del porto di Marghera e il fascino di quei luoghi vicini a Venezia in cui la presenza dell’uomo sembra di troppo in tutte quelle macchine industriali e quel cemento. Invece quando l’azione si sposta in Austria il racconto assume un’inaspettata tensione vagamente mitteleuropea, forse manniana. La morte a Venezia è peraltro citata esplicitamente da una delle invenzioni più felici di Targhetta, Philip, «photographer of suicide sites».
Le vite potenziali è in definitiva un bel libro, ancor più se si considera che è un romanzo d’esordio. Ha tutte le possibilità di vincere il premio Campiello al quale è candidato.
Adriano Cecconi
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