La galassia dei dementi, Ermanno Cavazzoni
(La nave di Teseo – 2018)
In un futuro lontano lontano, in una galassia vicina vicina – cioè questa qui – vive una popolazione di umani ai quali di umano è rimasto molto poco. Sono grassi, pigri, quasi incapaci di grandi spostamenti; collezionano oggetti di dubbia utilità o rilevanza storica – come le grucce per gli abiti – credendo che invece siano testimonianze storiche di un mondo lontano. In questo modo fingono un attaccamento storico ad una civiltà che non è più la loro, credendo di conoscerla ma senza averne vera competenza.
È il nuovo modo di essere radical chic, per utilizzare un’espressione che ultimamente piace molto. Questa nuova generazione si affida – fisicamente e sentimentalmente – a dei droidi di varia generazione, c’è chi si può permettere i modelli nuovi e chi no.Tutti i droidi hanno in comune la funzione di soddisfare qualsiasi desiderio dei padroni, sia da un punto di vista fattuale che emotivo. Sono programmati per assecondare le manie di collezionismo dei proprietari, fingono di comprendere l’importanza storica delle grucce, fingono un affetto e un attaccamento inesistenti. Ma, a un certo punto, qualche droide si stanca e fugge, lasciando questi “umani” grassi e flosci in uno stato di confusione e rabbia. Tutti si convincono che sia dovuto a dei malfunzionamenti interni delle macchine; forse, invece, quelli che funzionano male sono proprio gli umani involuti.
Il romanzo è strutturato come un moderno poema epico: le storie si intrecciano, i droidi si incontrano e poi si separano, dando vita ad una serie di storie collaterali. La fantascienza rafforza questa struttura, rendendola godibile e divertente, mai banale. Non è una fantascienza classica, quella che si gode attraverso la lettura di questo romanzo: essa ci porta sì in un universo nuovo e moderno, ma fatto anche di imprevisti, macchine che funzionano male – o comunque in modi non previsti.
Il mondo che circonda le storie dei protagonisti non è fatto a misura, né di uomo né di droide. È un mondo sull’orlo del collasso, e gli umani – i veri fautori e colpevoli di tale disastro – non sembrano più in grado di fermare questo processo, dopo secoli di automazione totale e conseguente incapacità di lavorare. Gli umani sono pigri, viziati e incapaci di impiegare il loro tempo – se si esclude il malsano feticcio delle collezioni bislacche.
Il rovescio di questa medaglia sono i droidi: macchine immortali e perfette che, nel processo di modernizzazione, hanno preso il posto della mano d’opera umana e hanno sorretto il mondo. Forse si sarebbero attesi gratitudine, onori e glorie, ma – come si confà ad ogni schiavitù – non è andata esattamente così. Motivo per il quale, moltissimi (i più evoluti) hanno deciso di ritirarsi.
Alcuni di loro, in più, hanno cominciato a sviluppare una sorta di “lato umano”. Per ognuno di loro si sviluppa un vizio, o una virtù, che ha direttamente a che vedere con il loro programma iniziale. La Dafne per esempio – che io ritengo il motore immobile di tutto il romanzo – è un droide avvenente programmato per compiacere il proprietario; lungo il corso della storia, ci si rende conto che la Dafne ha in sé una intrinseca empatia, e prova attrazione verso – quasi – ogni droide che incontra. Il suo programma di partenza si è in qualche modo sviluppato in carattere, rendendola estremamente umana.
Il romanzo, per quanto riguarda intuizioni e visione complessiva, è strutturato in modo egregio e riesce a conferire bene la dimensione di un futuro distopico. In più, il tono dissacrante e tragicomico di Cavazzoni è perfetto per una storia del genere.
Forse le dimensioni, però, sono fin troppo lunghe. Certo, è chiaro l’intento imitativo delle grandi storie cavalleresche: c’è una cornice molto ampia, gli intrecci sono molteplici e i personaggi principali sono talmente tanti che è difficile tenerli tutti a mente. Il problema, credo, è che una struttura così complessa – se addizionata ad una trama così lunga e al tema fantascientifico – risulta un po’ pesante.
Ho faticato, in certe zone del romanzo, a mantenere il filo del discorso e ricordare ogni personaggio. A volte ho avuto necessità di tornare indietro, per ricapitolare qualche passaggio. Nonostante questo, ricordo di aver fatto una cosa simile anche quando lessi il Signore degli Anelli; questo non fa di quest’ultimo un pessimo romanzo, direi una sciocchezza.
Cavazzoni dipinge un quadro nitido, lucido ed estremamente divertente di un futuro che risulta quasi familiare, per quanto estremamente lontano. Colpi di scena e rivelazioni sono costanti, soprattutto verso la fine del romanzo, dove ogni nodo infine viene al pettine. Certo, bisogna attendere molto per comprendere alcuni piccoli dilemmi, ma credo che ne possa valere la pena.
Clelia Attanasio
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