M il figlio del secolo, Antonio Scurati
(Bompiani, 2018)
Esiste soltanto un aggettivo adatto a descrivere M, ed è grande. Una grandezza che, nel romanzo di Scurati, si declina in molte forme.
Innanzitutto è una grandezza fisica: spesso definito “monumentale” dai critici, il libro raggiunge le 848 pagine, ed è solamente il primo volume di una trilogia che si ripromette di coprire tutta la storia del fascismo, ascesa e declino. In secondo luogo la mole di riferimenti, documenti, testimonianze che esso contiene e rielabora è immensa e, in un certo senso, spaventosa. Grandioso è lo stile, al punto da risultare spesso complicato e a volte pesante.
Infine, non si può non riconoscere l’impegno profuso dall’autore nel recuperare e rielaborare i documenti dell’epoca, e soprattutto il coraggio nel riesumare e ripresentare al mondo Benito Mussolini – l’uomo che, nel bene e nel male, ha influenzato in modo irreversibile il destino dell’Italia.
Sebbene si tratti di un romanzo, e non di un saggio, M si caratterizza per l’aderenza alla realtà: ogni fatto, ogni dialogo, ogni evento è documentato oppure deducibile dalle fonti. Il legame tra queste e il testo è evidente: i capitoli (a loro volta compresi in sei macrosezioni che coprono gli anni 1919-1924, dalla fondazione dei Fasci di combattimento al delitto Matteotti) sono sempre introdotti da brani di diario, lettere, articoli di giornale.
Se da un lato questa scelta ha un valore positivo (raramente, in un romanzo storico, il lettore trova questa volontà di attenersi alla realtà dei fatti), non mancano i lati negativi: per prima cosa, eventuali errori risaltano con più evidenza; dall’altro, la narrazione fatica a volte a staccarsi dalle fonti, che vengono utilizzate così come sono, in modo non sempre armonico. Mi riferisco, ad esempio, all’attribuzione dell’espressione “il cane del suo nulla” a D’Annunzio: una scelta quasi superficiale, descrivere il poeta con le sue stesse parole.
Scopo manifesto di Scurati è raccontare il fascismo in ogni sua caratteristica, senza preconcetti, adottando anche il punto di vista degli esponenti del movimento/Partito. Il risultato, di cui si sentiva in realtà il bisogno, è un’opera imparziale, equilibrata, in cui l’autore scompare per lasciar spazio alla voce dei protagonisti (dai “grandi” Matteotti, Mussolini, D’Annunzio, a personaggi meno noti come Nicolino Bombacci e Cesare Rossi). Scurati riesce nella difficile impresa di non ricadere nello stereotipo della lotta fra Bene e Male. Ogni personaggio è particolare, ha ombre e luci: qualcuno è brutale, qualcuno è ipocrita, qualcuno è coraggioso, ma Scurati non esprime alcun giudizio, tuttalpiù riporta i pensieri dei contemporanei.
Ciò detto, ritengo sbagliato leggere e valutare M soltanto per il messaggio che porta, per la funzione che può avere per l’Italia attuale. L’intento dell’autore, per quanto meritevole, non può far dimenticare che si sta parlando di un’opera letteraria, e come tale va valutata.
Durante la lettura si riscontrano alcune imprecisioni (ad esempio, l’espressione “la grande proletaria” attribuita a Carducci anziché a Pascoli) di per sé minime, che risultano piuttosto gravi per un libro che si pregia di essere assolutamente veritiero.
Lo stile rappresenta un altro elemento di debolezza: pur nella consapevolezza che i temi trattati richiedono un linguaggio peculiare, come è avvenuto per Mio padre la rivoluzione, la lettura è stata faticosa, lenta, asfissiante.
Infine, la mancanza più eclatante: in un’opera che fin dal titolo richiama l’importanza della figura di Mussolini, all’interno del libro il Duce sembra sfuggirci. O meglio, si conoscono le sue azioni e le sue posizioni politiche, ma si ha l’impressione che l’autore, nel tentativo di rimanere super partes, non sia riuscito ad afferrare o a trasmettere l’essenza dell’uomo. Per fare un paragone, Scurati appare come uno studente sì preparato, ma che non ha la totale padronanza dell’argomento.
In conclusione, M è un’opera innovativa che dà freschezza a una letteratura e a un periodo troppo spesso imbrigliati nella dicotomia fascismo-antifascismo, e ha il merito di descrivere un’epoca difficile senza sbilanciarsi in pareri personali. Alcune mancanze e disattenzioni, tuttavia, unite a uno stile forse troppo complesso, fanno sì che il libro sia meno gradevole del messaggio che trasmette.
Sonia Aggio
“… l’autore[…]non sia riuscito ad afferrare o a trasmettere l’essenza dell’uomo.”
Maddeché?
La trasmette benissimo. Il libro è piacevole, la narrata avvincente. E le imprecisioni storiche le hanno anche i grandi Dostoevskj, Tolstoi, e Hugo.
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Ciao Mike! Mi permetto di dissentire. Ma dopotutto “il mondo è bello perché è vario”, no? 😉
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