Campiello 2018: “Mio padre la rivoluzione” rovescia la realtà

Mio padre la rivoluzione, Davide Orecchio
(minimun fax, 2017)

 

imageRaramente mi capita di non saper decidere se un libro mi ha convinto o meno, eppure questo è accaduto con Mio padre la rivoluzione, finalista al Premio Campiello. Dopo averne concluso la lettura, pur essendomi riservata alcuni giorni per riflettere sono ancora preda dell’indecisione.

L’opera di Davide Orecchio si distingue da subito per la sua struttura: Mio padre la rivoluzione non è un romanzo, bensì una raccolta di dodici racconti differenti per ambientazione (si passa dal Messico agli Stati Uniti, dalla Germania nazista all’Italia del dopoguerra) e personaggi (da Gianni Rodari a Lev Trockij, da Stalin a Hitler, da Togliatti a Bob Dylan).I capitoli sono legati da due fili rossi. Innanzitutto, sono costanti i riferimenti alla Rivoluzione d’ottobre, rappresentata come un padre o una madre, o come un garofano, e invocata come un mito, un rimpianto, un ideale. In secondo luogo, tutti i racconti contengono una parte di menzogna: l’autore, con invidiabile freddezza, prende la materia storica e la trasforma.

Si tratta a volte di cambiamenti evidenti (ad esempio, in Bambini raccontano Stalin è un robot positronico), ma talvolta si tratta di modifiche minori che traggono in inganno il lettore: Una possibilità di Lev Trockij ci trasporta nel Messico del 1956. Osserviamo il vecchio rivoluzionario che riflette sugli scontri in Ungheria, la sua memoria che va all’indietro, e solo dopo pagine di lettura appassionata una domanda ci illumina, e ci blocca: Ma Trockij non è morto nel 1940?
Riprendiamo la lettura, sorpresi ma anche induriti, e ci diciamo non sbaglieremo più, ma più di una volta l’autore racconterà storie impossibili con tanta sicurezza da ingannarci ancora e ancora.

Lo stile è barocco, ripetitivo, ibrido. L’autore attinge a campi semantici differenti: la retorica politica convive con lo studio dei miti greci (Un poeta sul Volga risente dell’influenza di Robert Graves), la geologia con la botanica; non disdegna le Leggi della robotica di Isaac Asimov, né le classi e le razze di Dungeons and Dragons.
Il Novecento è definito “secolo d’oro”, gli anni che lo compongono sono associati a un fiore: così il 1917 è il garofano della rivoluzione, il 1941 è il fiore violento di Hitler, gli anni ’90 sono orchidee belle e fredde. All’interno di questi anni-fiore, il tempo scorre in modo impreciso, fluido: l’immobilità degli oggetti raggiunge le dimensioni di una montagna, le azioni ripetitive di un domestico scandiscono la narrazione come la lancetta di un orologio.
Talvolta il lettore si sente sopraffatto dalle ripetizioni, dall’utilizzo del noi, dall’accumulo di oggetti, colori, odori, ma al di sotto si percepisce la mano dell’autore, la sua volontà di stordire: è un surplus controllato.

L’autore mantiene il pieno controllo sugli eventi e sulle eventuali manomissioni. Se durante la narrazione il lettore viene portato a credere a ciò che viene raccontato, in fondo ad ogni capitolo sono riportati i riferimenti bibliografici, si distinguono i brani reali dagli interventi e dalle aggiunte. La contrapposizione fra realtà e fantasia aumenta il piacere della lettura, che si ritrova a confrontare le informazioni dell’appendice con il contenuto dei racconti.
Mio padre la rivoluzione è quindi un’opera originale nella forma, nel contenuto e nello stile, e ha alla base una solida preparazione storica.

Ciò nonostante, non posso dire che mi sia piaciuta. Durante la lettura sono stata colpita dall’audacia delle similitudini e delle metafore, ho evidenziato espressioni che ho trovato particolarmente evocative, ma non riesco a liberarmi dall’impressione che lo stile sia troppo: troppo convulso, troppo ampolloso, troppo angosciante, al punto da oscurare, in certi punti, l’originalità della trama (come accade, ad esempio, nella prima parte di Un poeta sul Volga).
Allo stesso tempo, tuttavia, riconosco l’abilità dell’autore e mi chiedo, senza ottenere risposte: “Questo eccesso è voluto? In che misura? Questa ripetizione è calcolata o è frutto di una distrazione? Questo termine è stato inserito volutamente?”

Mio padre la rivoluzione spicca fra i libri finalisti del Premio Campiello non soltanto per la sua struttura, ma perché propone al lettore una rielaborazione fantastica e coraggiosa della Rivoluzione russa, dei suoi protagonisti e delle sue conseguenze, e uno stile originale e indimenticabile. Per la sua stessa natura, tuttavia, può risultare artificioso: lo stile di Orecchio, per quanto originale e indimenticabile, rischia di non raggiungere il lettore, impedendogli di apprezzare pienamente il romanzo.

Sonia Aggio