“Chilografia” di Domitilla Pirro: una storia di carne

Chilografia, Domitilla Pirro
(effequ, 2018)

9788898837557gPalma “Palla” è una ragazzina romana cresciuta con due genitori separati, una madre segnata da tantissime fissazioni e nevrosi, e una sorella che pare perfetta, come se tutte quelle piccole tragedie quotidiane non l’abbiano mai scalfita. Palma, al contrario, porta letteralmente su di sé il peso di tutte le cose che – in quella famiglia disfunzionale – non sono andate come avrebbero dovuto: mette chili su chili, e infatti la gente – anzi, le ragazzine dei boy-scout, le peggiori – inizia a chiamarla Palla. Non che questo la aiuti a dimagrire, ovviamente: le offese non hanno mai aiutato nessuno. Così, Palma decide di indossare una maschera virtuale: si rifugia dietro computer, videogiochi e forum online. Nessuno avrebbe sentito il suo peso, dall’altra parte dell’internet.

Palma è una ragazzina silenziosa, lo si intuisce sin da subito, attraverso quel vizio che ha di fingere di dormire sui sedili posteriori della macchina. Lo fa da quando è piccola e, col tempo, diventa una maestra. Così cresce silenziosa e osservatrice:  vorrebbe parlare ma non lo fa quasi mai, subisce e non si scompone particolarmente neanche di fronte alle offese, come se sentisse di meritarsele.

L’incontro con Angelo, inizialmente anch’esso filtrato dallo schermo di un computer, sembra salvifico come il nome di lui. La catena di sfortune sembra però non interrompersi, e tra i due si innesca una relazione distruttiva e maniacale, dando un’ulteriore stoccata a Palma, sia fisica che mentale.

L’intera trama è la storia di un lungo e prolungato abuso, di una colpa addossata prima a una bambina, poi a una ragazzina e infine a una donna. Una donna che cucina, mangia e continua a mangiare per compiacere un compagno che gode solo nel vederla grassa. Ma quando il cerchio si chiude, e Angelo smette di accontentarsi anche del grasso, iniziano le botte; il sangue e la carne assumono un valore diverso, un valore non metaforico. La carne diventa materiale, viva, tutto diventa pulp.
Tuttavia, la tragedia che si consuma tra le pagine del romanzo è in primis una tragedia psicologica, interiorizzata al punto tale da potersi estrinsecare solo nel peso, nel grasso, e nei martedì, da sempre il giorno sfortunato di Palma.

Il silenzio della protagonista mi ha lasciata ferita, avrei davvero voluto urlare al posto suo, prendermi una rivincita per lei, far sì che potesse scappare da una gabbia che, a un certo punto, sembra quasi autoimposta.
Sono arrivata infine alla conclusione che l’abuso psicologico, la sfortuna di capitare nella famiglia sbagliata, non genera rabbia ma senso di colpa: il silenzio di Palma è esattamente la voce di chi crede di esser nata male, e si rifugia nel cibo, nei videogiochi o in qualsiasi altra cosa che possa crear dipendenza (comprese le relazioni tossiche e violente).

Ci sono alcuni testi che ti mettono fisicamente a disagio in modo assai misterioso. C’è qualcosa che stride, che graffia e che quasi bisogna scacciare. Non è un errore nella scrittura né un inestetismo di stile, insomma non è “colpa” di nessuno: piuttosto, è merito della storia. Chilografia mi ha fatto questo esatto effetto. Ogni scelta stilistica, partendo dall’idea di nominare i capitoli coi numeri dei chili della protagonista, mi ha regalato una buona dose di stridente irrequietezza. Il dialetto romano, perfettamente equilibrato nella dinamica della trama, contribuisce a rendere durezza e franchezza alla grande e personale tragedia di Palma: come se fosse l’unico dialetto possibile per una storia del genere, forse perché ha la grande peculiarità di ragionare in termini metaforici e dissacranti.

 

Clelia Attanasio

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