“E Baboucar guidava la fila”, per una nuova letteratura migrante

E Baboucar guidava la fila, di Giovanni Dozzini
(2018, minimum fax)

e baboucar guidava la filaDietro la frenetica e rassicurante normalità della vita quotidiana nell’Italia sonnacchiosa del 2018 c’è ancora uno spazio in cui ogni gesto è ammantato dalla solennità e dalla difficoltà proprie della trama di un romanzo. In questo spazio vivono i richiedenti asilo. È di questo che parla “E Baboucar guidava la fila”, l’ultima opera di Giovanni Dozzini edita da minimum fax.

Baboucar, Yaya, Ousman e Robert vengono da diversi paesi africani, vivono a Perugia e cercano di ritagliarsi un posto nel mondo: qualcuno ha già una protezione sussidiaria, a qualcuno, come Ousman, è stato rifiutato e aspetta il ricorso di primo grado in tribunale. Per tutti la vita in Italia è un percorso a ostacoli e anche il semplice progetto di una gita al mare può trasformarsi in un’avventura chiaroscura.

Il romanzo si svolge nell’arco dei due giorni in cui i quattro amici decidono di andare al mare, a Falconara Marittima. L’idea è di Baboucar, il più carismatico e propositivo del gruppo: ostentando organizzazione riesce a convincere gli altri tre, ma non Mariam, la ragazza di cui è innamorato e che cerca costantemente di impressionare. Inizia così un percorso insidioso costellato di fughe dai controllori dei treni, frequenti incontri con la polizia, ostacoli linguistici e tecnologia da tenere sotto stretto controllo.

I protagonisti vivono alla giornata, con una spensieratezza ingenua  che fa quasi sorridere i lettori: l’obiettivo è sfuggire alla noia, avere qualcosa da raccontare, semplicemente vagare. Non c’è traccia, in queste pagine, dell’angoscia del prima: certo, lo sfondo socio-politico da cui i ragazzi sono fuggiti emerge in più occasioni, soprattutto dai discorsi di Yaya, ma è opaco, lontano. In primo piano qui c’è l’incertezza di un futuro ancora tutto da scrivere, che viene costruito giorno per giorno su premesse instabili e variabili; la sensazione che ben si percepisce di non sapere mai con esattezza che fare, dove collocarsi, cosa aspettare. 

Il più grande rischio che un romanzo come E Baboucar guidava la fila corre è di risultare didascalico: d’altronde, quando si tocca un tema come quello dell’integrazione è difficile non scadere nella retorica. Dozzini ha tuttavia un’approccio pulito alla questione, profondamente realistico: Baboucar e gli altri non incontrano sul loro percorso personaggi estremi. Le insidie che affrontano sono banali, quotidiane, e proprio per questo fanno riflettere. Le figure di potere che i ragazzi si trovano di fronte non sono ostili, fanno il loro lavoro, sembra anzi quasi che provino simpatia per il gruppetto in gita. Tuttavia i carabinieri fermano più volte i ragazzi mentre noi che leggiamo sappiamo bene che non stanno facendo nulla di strano: camminano per strada, guardano una partita al bar. Quello che nella vita reale ci sembrerebbe regolare viene quindi svelato dalle dinamiche del romanzo come frutto di pregiudizio, di una normalizzazione del sospetto.

Oltre che interessante dal punto di vista dell’analisi sociale, il romanzo ha un certo valore letterario: bastano poche pennellate a caratterizzare i quattro personaggi principali al punto da renderli vivi e rotondi; lo stile fortemente descrittivo li inquadra in pochi gesti significativi. Per ognuno di loro si intravede una storia, un passato, forse un futuro: le loro scelte più casuali li qualificano e ci svelano qualcosa sulla loro personalità.

E Baboucar guidava la fila è un romanzo godibile che ha il pregio di trattare con leggerezza ma decisione un tema delicatissimo e nasce da un’intuizione giusta al momento giusto: in una società in cui ogni bisogno può essere soddisfatto e ogni ostacolo può essere superato poche cose sono ancora in grado di diventare letteratura, e la vita di un richiedente asilo è una di queste.

Loreta Minutilli

 

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