Materia – la fuga degli elementi, Jacopo La Forgia
(Effequ, 2019)
Materia – la fuga degli elementi è l’esordio targato effequ di Jacopo La Forgia, classe 1990, fotografo, precedentemente apparso su riviste del calibro di Cadillac Magazine e CrapulaClub. Si tratta di un libretto molto agile con una testa di elefante sommersa per metà in copertina, alle spalle la sagoma di una città e una falce di luna in un cielo color terra. Lo diciamo subito: non è un romanzo adatto a chi ama la linearità e desidera riporre un volume con la certezza di aver disambiguato ogni interrogativo.
“In quell’anno accaddero molte cose. Si estinse il cinquanta percento delle specie animali, una parte del continente finì sott’acqua e molti dei quadri salvati dalle inondazioni vennero sfregiati dai vandali. Secondo molti era l’inizio della fine e nei primi tempi quello che accadeva gettò la gente nella confusione e nello spaesamento. Alcuni smisero di parlare, altri compirono stragi, altri ancora si diedero fuoco.” (p. 52)
Materia è ambientato in un futuro distopico non troppo improbabile, in cui il mondo è devastato dalle catastrofi naturali e dai cambiamenti climatici, il livello delle acque si è drasticamente innalzato e la maggior parte degli animali si è estinta e va ancora estinguendosi; a conti fatti, nulla che non ci sia già familiare. E mentre il pianeta va a rotoli, chi può permetterselo continua a organizzare spettacoli, ad andare in vacanza e viaggiare, a commissionare statue di marmo; anche questo non ci suona nuovo.
Si continua anche a fare la guerra, in posti lontani dalla supposta civiltà, rinchiusi in grotte e labirinti scavati nelle alte montagne ad Oriente. Una guerra vecchio stampo, combattuta da fanti, cavalieri e vedette; privilegiato il corpo a corpo, bandite le armi da fuoco.
I tre protagonisti del romanzo sono vecchi amici d’infanzia che la vita o il destino sembra voler a tutti i costi riunire nelle situazioni più disparate. Dei tre, Elena è quella che l’autore fa sì non sia persa mai di vista, è sempre lì dove le cose accadono, ha più storie da raccontare di chiunque altro e agisce in modo incomprensibile per la maggior parte della narrazione. Poi ci sono Andrea, veterinario in un mondo in cui gli animali non fanno che morire, e Gabriele, con certe accentuate tendenze escapiste.
Gli avvenimenti sono narrati celando un qualche sforzo di alienazione, come se li si volesse osservare attraverso una lente deformante. Inoltre, tutto il romanzo è pregno di onirismo, dalle vicende alla maniera di ripercorrerle e attraversarle, e questa potrebbe essere la motivazione per cui in molti casi diventa impossibile dare risposte univoche alle domande nate nel corso della lettura: anche nei sogni le cose succedono senza necessariamente una motivazione o una ratio. La stessa descrizione dei luoghi in cui si svolge la guerra potrebbe facilmente passare per la narrazione di un incubo, grazie alle atmosfere cupe, ai dettagli inquietanti, agli elementi improbabili ma non impossibili.
Il linguaggio è prevalentemente colloquiale; a volte tenta di farsi astratto, evocativo e simbolico, di procedere per associazioni e sensazioni, di suscitare immagini allucinatorie e quasi espressionistiche. Frequenti i sottintesi, le ellissi, le anticipazioni; i pezzi vanno ricomposti alla fine, non a tutto si trova un senso sùbito, e soprattutto non a tutto si trova un senso: molto va accettato senza stare lì a rimuginarci troppo.
Credo sia possibile, a tratti, rintracciare indizi dell’attività di fotografo di La Forgia nella sua scrittura; si intuisce che le descrizioni di terre straniere nascono da esperienze vere, vissute sulla propria pelle e viste attraverso i propri occhi, e i paesaggi sono spesso netti e nitidi come fotografie, delineati con pennellate minimaliste ed efficaci. Una lettura piacevole, se si rinuncia all’esigenza di mettere assieme risposte rigorose.
Alessia Angelini