La fine dell’estate, Serena Patrignanelli
(NNE, 2019)
Nel Quartiere indefinito di una Città senza nome, la Guerra sta portando via gli uomini, i gessetti delle scuole, gli insegnanti, i soldi, l’infanzia. Mentre le strade si svuotano, i ragazzini vivono la più lunga estate della loro vita: giocano come bambini e pensano come adulti, si approcciano ai sentimenti e alla sessualità, scoprono il mondo, l’indipendenza e la solitudine.
In questo clima d’incertezza e apparente libertà, Augusto e Pietro sono legati da un’amicizia indissolubile, un patto di fratellanza stretto durante una prova di coraggio e maturato poi nel tempo. Augusto è un ragazzino intelligente e riflessivo, che preferisce “pensare fino in fondo” prima di agire; Pietro invece vive di idee estemporanee, è sempre due passi avanti al resto del mondo e non ha bisogno di fermarsi a riflettere, per avere successo.
Senza Augusto, Pietro sarebbe un vulcano di energia destinato a esplodere sul niente, perché ogni buona idea ha bisogno poi di qualcuno che lavori sui dettagli e la renda funzionante. Senza Pietro, Augusto non avrebbe invece stimoli su cui applicare la sua intelligenza e la sua sensibilità. Insieme, i due ragazzi hanno trovato un modo per mettere a frutto i loro diversi talenti e approfittare del tempo vuoto dell’estate: sistemare il motore di un’automobile e crearci sopra un vero e proprio business.
La missione di Pietro e Augusto s’intreccia così alle vite di tutti gli altri abitanti del Quartiere, in un delicato romanzo di formazione che si ritaglia uno spazio indefinito nell’Italia della Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto s’insinua nella vita delle persone attraverso il principio della privazione: toglie i genitori ai loro figli, la benzina alle macchine, il cibo ai ristoranti, gli insegnanti alle scuole, la vita ai soldati. Per buona parte del romanzo, la guerra fa da sfondo agli eventi narrati, come un’ombra opprimente che plasma l’esistenza delle persone senza per questo diventare protagonista. La prima parte dell’opera è infatti la più riuscita, intensa e veritiera: la storia è ricca di personaggi realistici e ben delineati, che si toccano e si allontanano in una narrazione coerente, fluida e intrigante.
Tra le prime pagine, l’autrice dissemina intuizioni interessanti e personaggi dal fascino indimenticabile. È il caso per esempio di Virginia, la bambina fotosensibile che non può esporsi ai raggi solari senza bruciarsi, e che per questo viene tenuta prigioniera dal padre iper-protettivo, innamorato di lei ai limiti della moralità. O ancora la piccola Clementina: capricciosa, istrionica, egoista, una bomba a orologeria che tratta le persone come oggetti e gli oggetti come proprietà inalienabili. Ci sono i genitori di Augusto, che si amano più di quanto non amino il loro stesso figlio, e la madre di Pietro, che con la sua religiosità ottusa osserva il mondo da un altro punto di vista.
L’unico problema del romanzo, è che le alte aspettative costruite nei primi tre quarti dell’opera vengono in parte disattese nelle ultime pagine. Gli adulti scompaiono dalla scena fino a diventare invisibili, mentre i ragazzini sembrano quasi dominare una città vuota. Molti dettagli potenzialmente centrali perdono di importanza e si disperdono tra le pagine fino a scomparire: è il caso dalla stessa fotosensibilità di Virginia, che sembra quasi venir dimenticata, o del carattere esplosivo di Clementina. Sono numerose le suggestioni di trama che si esauriscono in scene frettolose. È il caso, per esempio, del doppio segreto che all’inizio del romanzo sembra rischiare di dividere i due protagonisti, o del trauma vissuto dal piccolo Pietro, che ha visto la morte in faccia e poi se l’è dimenticata.
Tutto questo però trova una spiegazione nel piacevole dinamismo della narrazione. L’autrice aggiunge infatti spesso nuovi spunti con cui i personaggi devono fare i conti. A sua volta, lo stile mantiene sempre un ottimo ritmo, semplice ma incalzante: nella sua opera prima, la Patrignanelli ha dimostrato di saper raccontare una storia e di avere le idee giuste per costruirne di indimenticabili. Il fatto che si perda un po’ nel finale non toglie nulla al piacere della lettura.
La fine dell’estate è quindi un classico romanzo di formazione, che reinterpreta in chiave personale il tema della crescita, attraverso uno stile fluido e leggero. L’autrice crea così un micro-cosmo a misura di ragazzino, in cui gli adulti sono solo ombre indefinite, e i bambini imparano da soli cosa vuol dire diventare grandi.
Anja Boato
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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