Cosa è umano e cosa no: L’invenzione degli animali di Paolo Zardi

L’invenzione degli animali, Paolo Zardi
(2019, Chiarelettere)

paolo-zardi-linvenzione-degli-animali-9788832961799-4-300x466Anno 2035, minimo. La Ki-Kowy è un’azienda onnipotente e onnicontrollante che da sola è in grado di decidere il futuro dell’uomo e del mondo. Quattro giovani promettenti – Lucia e il suo fidanzato Patrick, Marianne con Tibor – vengono arruolati per far parte di questo sfavillante e ambizioso progetto globale. Lucia viene affidata a un laboratorio di ibridazione genetica: lo scopo è creare ibridi animale-uomo per avere un allevamento (o una coltura) smisurato di organi da trapiantare. L’imperativo: ottenere la chiave per la vita eterna.

L’invenzione degli animali è il nuovo romanzo di Paolo Zardi. Dire che appartiene al genere distopico puro sarebbe una forzatura: il mondo raccontato da Zardi è un futuro già presente, un contemporaneo parallelo molto simile a quello in cui viviamo. La colonizzazione di Marte è già avvenuta (ma non promette bene), Amazon è fallita, le città hanno erto muri impenetrabili per proteggere le élite sempre più ricche del centro dalle periferie ridotte in miseria e riottose. Sono ancora il capitalismo e la fama di ricchezza a tenere le redini dei rapporti sociali, della politica e della scienza, mentre i sentimenti umani di comunità, uguaglianza e senso morale vengono soffocati da sfrenate ambizioni, cinismo e profonda avidità.

Ancor prima di esser preso dal gusto di riportare attraverso la scrittura un mondo che, seppur molto plausibile, rimane fantastico e affascinante, l’obiettivo dell’autore è quello di sollevare delle questioni importanti, delle domande verso cui l’essere umano di questo presente così critico e annunciatore di mutamenti radicali è bene si volga. Nell’era dell’intelligenza artificiale e del post-umanesimo, parlando a quel sentimento di onnipotenza che attraverso i progressi tecnologici spesso ci ha annebbiato la vista, l’essere umano è sicuro di (ri)conoscere se stesso? In cosa l’uomo è esclusivamente umano, qual è il suo valore intrinseco inestimabile e, se è davvero così speciale, in quale modo virtuoso può impiegare la sua particolarità? E ancora: l’essere umano è davvero irripetibilmente esclusivo?

Zardi fa della sua protagonista, Lucia, un elemento di anomalia all’interno di un’azienda e di un mondo lanciati a rotta di collo verso l’abisso, in questo caso morale. Lucia cerca di tirare il freno, fermarsi a riflettere su ciò che sta portando avanti in nome del progresso scientifico, capire se è corretto fare tutto questo. Insieme ai suoi colleghi, Lucia lavora al Pianeta, una sorta di allevamento in laboratorio in cui gli incroci tra umano e animale vengono accuditi, sorvegliati e studiati, affinché presto si possa scoprire, all’interno del branco, l’essere perfetto in grado di sviluppare organi totalmente compatibili all’organismo umano. Presto, però, quelli che dovrebbero essere semplici animali cominciano a comportarsi come esseri umani: si organizzano in una gerarchia, tumulano il maschio alpha morto e lo venerano attraverso amuleti di pietra che hanno incisi dei volti. Nonostante il diktat della Ki-Kowy sia quello di vedere e pensare le cavie solo come animali da laboratorio, e che «la morale è solo un altro modo di dire la parola economia», Lucia fa un gesto che nessuno oserebbe mai fare: mandare in fumo la sua carriera ben retribuita, le proprie ambizioni, il fidanzato e la libertà per tenersi stretta un barlume di “umanità”, e tentare la ribellione fuggendo con Victor, l’ibrido destinato a essere immolato sull’altare dell’immortalità umana.

È per questo che alla fine L’invenzione degli animali è più un’utopia distopica, la narrazione di un possibile e minuscolo riscatto che può avvenire, nonostante l’intero sistema tenti di appiattire al proprio paradigma ogni variabile sfuggente. L’occhio zardiano non perde mai di vista (in questo come in ogni altro suo racconto, o romanzo) la matrice profondamente soggettiva e umanizzante dei suoi personaggi: l’umano (aggettivo) è sempre al centro di ogni azione e pensiero, anche quando fuori c’è il deserto e il mondo brucia negli egoismi e nelle miserie. Nel delirio di onnipotenza collettivo, la complessità umana rimane il punto fermo da cui rilanciare.

L’invenzione degli animali è un bel romanzo, nel complesso. Se vogliamo trovare dei nei, forse avrebbe potuto prendersi più tempo e delineare in modo più approfondito la questione che lo muove, ovvero quello dell’unicità della specie umana, dell’egocentrismo con cui l’uomo si guarda nel mondo, delle interrogazioni sul rapporto corpo-mente-coscienza: in alcuni passaggi la narrazione slitta, a mio avviso, in modo un po’ più frettoloso e approssimativo (soprattutto nella parte in cui Lucia matura la convinzione della natura “umana” degli animali, e di come si rapporta alla cosa). Preziosa e solida, comunque, rimane tutta l’impalcatura scientifica che sta dietro il romanzo: alcune delle letture preparative vengono segnalate da Zardi stesso nei ringraziamenti, e questa documentazione a monte rende l’intera opera non solo consapevole al massimo grado, ma anche più fruibile ed efficace.

L’uomo inventa gli animali in quanto, percependoli diversi, li separa dal suo consorzio, li nomina e ne attribuisce usi e funzioni. Questa distinzione è fondata sulla presenza dell’intelletto e della capacità di provare emozioni, prerogative che da sempre ci attribuiamo come esclusive. Se già questo punto di partenza può, in certi casi, vacillare, quando ciò che creiamo dal nostro palmo scardina totalmente ogni presupposto di unicità umana, cosa rimane? Cosa separa l’uomo dall’altro, e l’altro quali caratteristiche ha, se esistono, così sicuramente determinate da essere davvero “altro”? Forse è questa la domanda ultima a cui vuole arrivare L’invenzione degli animali, un dubbio forse irrisolvibile a cui Zardi, attraverso Lucia, cerca di dare la sua personalissima risposta.

 

Michele Maestroni

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