La leggenda del mercante di fucili

L’isola dei fucili, Amitav Ghosh
(Neri Pozza, 2019 – trad. A. Nadotti e N. Gobetti)

 

isola dei fucili 01In un’antica India leggendaria, Bonduki Sadagar, il mercante di fucili, s’inimica la dea Manasa Devi rifiutando di diventare suo devoto. Furibonda, la dea non gli concede un solo attimo di pace: signora e padrona dei serpenti, tramite le sue creature inizia a perseguitare il ricco mercante, costringendolo alla fuga. L’uomo crede di riuscire a trovare pace sull’Isola dei fucili, dove si dice non esistano serpenti, ma Manasa Devi riesce a raggiungerlo comunque. La sua fuga disperata lo spinge tra le grinfie dei pirati, che lo conducono sull’Isola delle catene per venderlo come schiavo. Pur di essere liberato, il ricco mercante promette alla dea di diventare suo devoto e di costruire per lei un tempio in Bengala.

In un’India a noi più contemporanea, l’antiquario Dinanath Datta (o Deen, o Dino, a seconda di quale diminutivo si adatti meglio al contesto linguistico), viene casualmente a conoscenza della leggenda di Bonduki Sadagar quando il tempio da lui creato sembra essere ormai prossimo alla scomparsa, schiacciato da inondazioni e alluvioni. Deen intraprende un percorso nei misteri della leggenda, spinto più dalla pressione delle persone che lo circondano che da un genuino interesse individuale, arrivando ben presto a cambiare prospettiva sul mondo e a scoprire realtà nuove e misteriose.

Il romanzo è diviso in due parti. Nella prima, le vicende si concentrano in India, in un clima esotico e orientaleggiante, fatto di credenze e usanze a noi lontane – un’India ruvida e genuina, in cui perfino Deen, da anni ormai trasferitosi a Brooklyn, non si riconosce in molte pratiche locali. Eppure è comunque un’India vera, in cui gli stereotipi vengono ribaltati dal costante sottolinearsi dell’onnipresente abilità, anche tra e le fasce meno abbienti della popolazione, di maneggiare Internet e di adattarsi all’ideale diffuso della cultura americana.

La seconda parte del romanzo è ambientata invece a Venezia, dove gli stessi personaggi che sembravano sospesi nel fascino esotico dell’India più arcana vengono trasportati nella cruda realtà dell’Europa contemporanea. Da umili pescatori nelle terre del Bengala a immigrati clandestini nell’Italia odierna, passando per il traffico degli scafisti, le rotte dei migranti nelle calde terre africane e i viaggi sui barconi.

Nella figura di Deen, indiano occidentalizzato, emerge quella che sembra essere l’ombra dell’autore, anch’egli di origini indiane, ma emigrato in America per motivi di studio. L’immenso bagaglio culturale di entrambi, autore e personaggio, viene ripetutamente sottolineato: per risolvere il mistero della leggenda, Deen recupera gli studi dell’antropologo italiano De Martino sul tarantismo, figure del passato come Pietro e Ambrosio Bembo, spazia da analisi linguistiche a riflessioni antropologiche, dalla storia di Venezia alle abitudini dei cetacei. Nessuna informazione è lasciata a sé stessa e sono tutte indispensabili per comprendere il segreto del mercante dei fucili.

Qual è quindi questo segreto? La storia della dea è vera oppure no? Esistono delle forze superiori che muovono gli eventi o è tutto riconducibile alla realtà scientifica? Il romanzo non giunge a nessuna risposta, anche se questo dubbio assilla il protagonista fin dall’inizio. Le sue certezze oggettive vengono incrinate dal ripetersi di episodi apparentemente inspiegabili – e che difatti rimarranno oscuri fino all’ultima pagina –, nonostante la leggenda del mercante di fucili verrà sempre più facilmente ricondotta a quella ben più realistica di un migrante sfortunato del XVII secolo. Alcuni elementi paranormali servono a sollevare delle riflessioni sulla possibile veridicità delle credenze spirituali che sottendono i miti, altre invece sono puramente casuali e inutili ai fini della trama.

L’isola dei fucili affascina con la sua atmosfera esotica e grazie alla capacità dell’autore di recuperare alcuni temi oggi particolarmente sensibili, come l’immigrazione e la reazione conservatrice dei governi di destra, ma anche i profondi e distruttivi cambiamenti climatici che sembrano scombussolare il mondo intero. Eppure la costruzione narrativa della storia presenta alcune importanti pecche, che rallentano e talvolta impoveriscono la lettura.

Uno dei tratti dominanti del romanzo è la tendenza a presentare un’infinità di regressioni non sempre utili alla storia principale. Interrompono la narrazione e spesso non conducono ad altro che a un rapido excursus sulla vita di personaggi minori. Molti di questi inoltre vengono gestiti con superficialità: l’autore ricorre facilmente a figure stereotipate, connesse da relazioni prevedibili e poco profonde. Una serie di fastidiose e ridondanti pecche che nel complesso rovinano un romanzo altrimenti accattivante e ben costruito.

Anja Boato

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