“Sesso più, sesso meno”: gli amanti insicuri di Fillioley

 

Sesso più, sesso meno, Mario Fillioley
(66thand2nd, 2021)

sesso più sesso meno

Gli uomini e le donne che abitano la nuova storia di Mario Fillioley preferiscono, al Sesso più, il Sesso meno. Come e perché una rosa di caratteri come questa, nell’insieme così vicina allo spirito di una ninfa o di un satiro, dedita in ogni momento – assuefatta quasi – al piacere e all’erotismo, preferisce godere di meno pur avendo la possibilità di godere di più? Il nuovo romanzo di Fillioley si aggroviglia tentando di rispondere a questa e ad altre domande, e aggrovigliandosi seduce e diverte.

La teoria che dà il titolo al libro viene esposta nel primo dei monologhi-capitoli: Peppe, un insegnante di Siracusa che vive un periodo di crisi sentimentale, ci mette al corrente del suo rapporto con Arianna, collega insegnante, un rapporto strano nella sua apparente semplicità, nella naturalezza con cui i due si vedono e fanno quello che l’uomo definisce un sesso in purezza, un distillato, un esercizio a cui vengono sottratte più o meno consapevolmente le variabili affettive: il Sesso meno.

Dall’altra parte del terreno di gioco, oltre la rete di protezione che delimita il confine di questi rapporti, c’è invece il Sesso più, una miscela esplosiva da cui tutti si tengono alla larga, un sesso «maggiorato da una serie di detonatori che lo fanno esplodere come se gli ingredienti fossero mille». I sentimenti, i bisogni emotivi, le pulsioni inconsce, i desideri repressi sono le maggiorazioni che potenziano l’ordigno; godimento e sofferenza i frammenti dell’esplosione. L’assunto di base – l’esperienza comune a tutti i personaggi– è che chi pratica Sesso meno in genere ha sperimentato con pessimi risultati il Sesso più.

Quella di Peppe non è però l’unica voce narrante, il suo punto di vista si alterna a quello di altri personaggi che in un modo o nell’altro entrano nella sua vita: colleghi, amanti, ex mogli con ex mariti, semplici conoscenti e fantasmi del passato. Fillioley ci permette di leggere nella loro mente irrequieta, dà spazio a una serie infinita di elucubrazioni con cui ognuno di essi tenta di mettere ordine nel caos della propria vita razionalizzando i sentimenti. Monologhi per lo più, monologhi pieni di giudizi e di pregiudizi sull’amante di turno, monologhi che argomentano e che confutano, che dicono poco degli altri e troppo di sé.

Gli intrighi che animano la vicenda sono di questo tipo: Peppe frequenta Arianna, ma si vede con la sua ex Cristina; Arianna frequenta Peppe, è stata con Sergio – alias “Educazione Fisica” – e fa gli occhioni a Luca; Luca, giovane ricercatore, è innamorato di Brigida, ma Brigida, cinquantenne avvenente, separata non dichiarata, si vede con Enzo, lo scurrile proprietario della pizzeria in cui si incontrano senza impegno Peppe e Arianna. Fillioley gestisce con naturalezza questi incastri improbabili che sono uno dei punti forti del libro, se non altro per la quota di pettegolezzo e di ossessione privata che condiziona le riflessioni dei protagonisti di una storia sapientemente sfilacciata.

Nonostante possa apparire inappropriato penetrare in un romanzo dichiaratamente frivolo, dietro l’apparente baldanza dei caratteri di Fillioley c’è una malinconia che va oltre il sorriso e sfiora l’ambiguità, l’ambivalenza, l’equivocità. A immergere le mani in questo ricchissimo concime narrativo viene fuori una dicotomia che è alla base di una ricerca letteraria non scontata, quella tra uomo e natura: a fare da sfondo alla vicenda c’è infatti la splendida, rigogliosa, poetica Ortigia, l’isola antica di Siracusa che è a un tempo locus amoenus e girone infernale, catalizzatore e inibitore. Arianna tra tutti è quella che ne subisce maggiormente gli effetti, che si lascia investire dal suo potere ambivalente fino a produrre i pensieri più lirici e sofferti di tutto il romanzo:

«Il sole da via Lido Sacramento se ne va di corsa, a precipizio, fregandosene altamente dei miei pensieri cupi, si piglia il cuore, che già aveva fatto a palla, e con un pugno appiattisce la stagnola, ne fa un disco sottile e poi di nuovo si mette a lisciare tutte le grinze, tutte le pieghe, un dolore che non so manco dirlo, certe volte la stagnola si buca, si strappa, che struggimento, che languore, che dolcezza».

L’impressione è che Ortigia, nelle sue mille forme e manifestazioni, rappresenti l’inciampo che consente ai vagoni-personaggi di rallentare una corsa sfrenata ma senza meta, un movimento che si compie quasi sempre nella dimensione del gioco, della fuga del linguaggio. Gli amanti di questa storia preferiscono al sesso più il sesso meno perché non riescono a scrollarsi di dosso il bisogno infantile di divertirsi più che di amarsi, quindi di addizionare, accumulare e sperimentare più che sottrarre e rinunciare.

Lo stile con cui Fillioley rappresenta i loro pensieri subisce variazioni minime pur attraversando tutti i punti di vista, ed è uno stile cervellotico e barocco, eccessivo al limite dello straniante: sembrerebbe di osservare una comitiva di ragazzetti che ha appena spento la console e ha nella testa i residui della vita potenziata e artefatta del videogioco se non si trattasse per lo più di insegnanti di scuole medie sulla quarantina. È la maledizione di Ortigia, così simile all’Ogigia omerica dell’Odissea (nel romanzo non mancano parodie di archetipi classici): un microcosmo talmente perfetto da rappresentare un ostacolo alla crescita dei suoi abitanti.

La differenza è che i personaggi di Fillioley non hanno il carattere e la maturità di Ulisse, il quale, pur ricevendo la promessa dell’immortalità dalla ninfa Calipso – quintessenza del desiderio erotico –, rinuncia a una vita da semidio per ricongiungersi con i suoi affetti e compiere il suo destino da eroe mortale. Ulisse piange a dirotto a Ogigia, sente che i profumi, i colori, la natura inesausta e la possibilità di un godimento erotico inesauribile gli sono assolutamente estranei; conosce l’incompatibilità tra la sua natura e quella degli dei, intuisce che la sua identità, ciò che lo rende presente a sé stesso, può sopravvivere solo in uno spazio e in un tempo su cui incombe una cesura fisiologica che diventa simbolica.

A Ortigia, invece, il limite è vissuto con grande malinconia da uomini e donne che cercano ingenuamente questa promessa di immortalità, la possibilità cioè di vivere per sempre un’infanzia senza compromessi, promessa che sentono di ricevere a ogni tramonto e che vedono svanire tutte le volte che le loro relazioni mostrano la fragilità della condizione umana. Così Arianna in uno dei passaggi chiave del romanzo:

«Io non voglio Peppe, non voglio un essere umano specifico, con dei connotati suoi, io voglio solo qualcuno che mi desideri, chiunque sia, e lo voglio solo finché mi desidera. Quando smetterà di farlo non lo vorrò più, e voglio potermene disfare senza neanche accorgermene».

Con gli strumenti della sua immaginazione Fillioley disegna un inedito Viandante sul mare di nebbia, se non un dipinto certamente un fumetto: davanti a un paesaggio meraviglioso e incomprensibile non c’è un uomo in soprabito scuro che contempla la natura con atteggiamento introverso, ma una comitiva di ragazzetti un po’ cresciuti, t-shirt e pantaloncini, che saltellano, si accovacciano, si distendono e si contorcono, dominati da una frustrazione che li attiva e li disattiva troppo velocemente. L’impressione finale è che Sesso più, sesso meno sia più di una raccolta di gag e meno di un racconto speculativo, una storia di mezzo che si mostra se si è disposti ad andare al di là del testo, riflettendo per un secondo su quel senso di straniamento che è il retrogusto di una voce leggera – anzi leggerissima – e per questo sorprendentemente ricca e raffinata.

Marco Terracciano

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