L’anima degli altri, Alba de Céspedes
(Cliquot, 2022)
Alba de Céspedes, ispiratrice del nome della nostra newsletter, è stata un’autrice e una donna di cui si dovrebbe sentire parlare più spesso; e invece, a dispetto del successo conseguito in patria e all’estero, diverse sue opere sono oggi fuori catalogo e difficili da reperire. Nata nel 1911, figlia dell’ambasciatore cubano a Roma, forte di un ambiente familiare abbiente e culturalmente fervido, fu persona colta, scrittrice, partigiana durante la Resistenza, giornalista, impegnata sul fronte della condizione femminile, impegno più evidente nei suoi scritti più maturi e tuttavia già intuibile nell’acerba sua prima raccolta di “novelle” L’anima degli altri.
Pubblicata nel 1935, quando de Céspedes aveva soli ventiquattro anni, preceduta da apparizioni di suoi racconti su quotidiani, L’anima degli altri denuncia il peso della prima volta: non in termini qualitativi – in tal senso c’è già tutto: un lessico che non lascia nulla al caso, una disposizione misurata, attenta, l’indagine emotiva che non indulge al patetismo artificioso, l’esplorazione dei modi dell’umano –, ma piuttosto alla maniera di chi ha un talento e teme di non rendergli giustizia al momento di schiuderlo al mondo. Io credo che ogni persona che sia stata animata da velleità letterarie fin dall’infanzia, leggendo questa raccolta, possa ritrovare qualcosa di sé nella scrittura dell’autrice, nel modo che ha di procedere discreta, timida ma con certa sicurezza.
La costante insoddisfazione, l’affannosa ricerca della perfezione che si rivela nel continuo pulire, levigare, tagliare, ammessi da de Céspedes in alcune interviste, non appesantiscono la penna e non lasciano traccia della fatica, ma solo la cristallina impressione che ogni parola sia ineluttabilmente al suo posto.
La raccolta, dedicata al padre – che molto incoraggiò la passione di sua figlia per la scrittura – consta di diciotto racconti o ‘novelle’ di soggetto vario, con dei filoni principali individuabili e alcune variazioni sul tema. Raffigurati in scene di vita quotidiana o momenti che racchiudono un’essenza e una vita intera, i protagonisti di de Céspedes sono padri, mariti, mogli, madri, scrittori, ma anche accattoni, ragazzini, donnine, uomini soli; l’ambiente prevalente è quello all’autrice più familiare: la casa altoborghese, un matrimonio e un destino segnato – al quale lei in parte si sottrasse, divorziando dal conte che aveva sposato a quindici anni e cui aveva dato un figlio.
La casa altoborghese: teatro di gelosie, adulteri, insofferenze, ipocrisie, solo raramente di autentiche felicità. Altro scenario è la campagna, luogo di temporanea serenità infantile (Arsura), meno soffocante della città (La casa sul laghetto azzurro), o al contrario posto arido dove l’unico conforto che giunge a lambire la disperazione è una pioggia pesante e tardiva (Il miracolo); più radi altri ambienti, un museo o un’osteria.
Tra le novelle, l’unica concessione parziale fatta a una forma di pensiero magico – a quel soprannaturale che tanti proseliti avrebbe fatto in area latino-americana – è la prima, Il ladro, in cui la vita di un cassiere sembra curiosamente intrecciata a quella del protagonista dei racconti a puntate di un noto scrittore; le altre, presentate nella prima edizione della raccolta come narrazioni immaginarie che traggono spunto da episodi veramente accaduti, sono in effetti tanto realistiche da risultare talvolta dolorose.
L’anima degli altri, promessa dal titolo, viene indagata con analisi lucida, pacata, tagliente, e in essa il lettore trova un po’ della sua. Non siamo forse tutti l’Anna de Il rifugio, davanti al “dobbiamo parlare” di una persona amata – parole non meno temibili, se lasciate implicite – la sua ansia non è la nostra ansia, anche oggi? Non c’è qualcosa di noi nel protagonista de Il capolavoro, ogni volta che ci chiediamo se non stiamo sprecando i migliori anni della nostra vita, se non stiamo sacrificando la nostra giovinezza o la nostra vita sulle carte o sul lavoro o qualsiasi occupazione cui scegliamo di dedicarci, che ci ruba giorni e sottrae al mondo esterno? E viceversa, non sono nostre la rassegnazione, la rabbia di Lorenzo in Autorità, quando tutto quello per cui abbiamo accettato di sacrificarci, la speranza di riscatto, ci viene portata via, mandata in fumo?
Come anticipato nel primo paragrafo, le considerazioni dell’autrice sulla condizione femminile, che non piacquero alle autorità fasciste (qui trovate un nostro approfondimento sulla scrittura ‘scandalosa’ di de Céspedes), si riflettono nelle sue protagoniste. Mogli devote, che si annullano per la famiglia e quasi scompaiono nella tappezzeria, mogli sorridenti per mariti che non le meritano, mogli che trovano escapismo e unico stralcio di libertà nell’adulterio, donne colpevoli di aver sognato un uomo che dedichi loro attenzioni e tenerezze; donne tanto educate al culto della bellezza fisica da non aver mai saputo coltivarsi altrimenti.
“Maria nella vita non aveva fatto altra cosa che essere bella ed era giusto perciò che rimanesse attaccata alla sua bellezza. Oggi nell’alto corpo disfatto, avvizzito, stanco, non ritrovava neppure le tracce di quello di un tempo: allora si era attaccata all’ombra di quello, poiché esso era stato per lei la vita stessa. Vita nomade di modella perfetta alla quale neppure il corpo era cagione d’amore. Forse non era stato desiderato come quello delle altre donne poiché esso si mostrava tutto prima che potesse essere maturato il desiderio di vederlo. Non era stata intelligente, non era stata ricca, non era stata mai nulla, lei; la sua anima non aveva mai avuto nulla. Il suo corpo era il protagonista della sua vita: lui solo aveva vissuto […]” da Nudo dell’Ottocento, p. 76
Al di là dell’introspezione, della critica sociale, dello studio di un’umanità sempre attuale, ho personalmente provato vivida soddisfazione nel leggere dell’estetica degli ambienti, degli arredi, vissuti con straniante familiarità, come se mi venissero descritti i tempi d’oro delle case di nonni che non ho avuto, o relitti di pomeriggi infantili a giocare in salotti austeri di lontani parenti e mobili altisonanti; reliquie di un’epoca più analogica di cui a volte sento malinconicamente un’insensata mancanza. Non posso che concludere augurandomi che questa sia solo la prima di future ristampe e che più persone riscoprano il talento di de Céspedes.
Alessia Angelini