Alba de Céspedes e lo scandalo della scrittura

Quando, qualche mese fa, ho avvistato una malconcia copia di Quaderno proibito di Alba de Céspedes su una bancarella bolognese, l’ho acquistata di getto, senza avere un quadro ben chiaro del suo contenuto e del lavoro della sua autrice. Avevo letto spesso riferimenti a questo romanzo sul web, spesso associati alla parola “scandalo”, e per qualche motivo mi ero convinta che si trattasse di un memoir erotico.

Naturalmente, mi è bastato leggere la quarta di copertina per accorgermi del mio errore, mentre la portata rivoluzionaria del romanzo mi si è manifestata lentamente, man mano che la storia della casalinga Valeria Cossati e del suo quaderno nero si dipanava davanti ai miei occhi. Per capire fino a che punto le opere di Alba de Céspedes hanno generato scandalo e sgomento nei suoi contemporanei, tuttavia, è stato necessario addentrarmi nel mondo di questa straordinaria scrittrice e nella sua storia editoriale.

Figlia di un diplomatico cubano e di una donna italiana, Alba de Céspedes nasce nel 1911 a Roma e vive la sua giovinezza nell’Italia fascista. Il suo romanzo d’esordio, Nessuno torna indietro, viene pubblicato da Mondadori nel 1939 e le vale un incredibile successo di pubblico e di critica, al punto da vincere il Premio Viareggio. È in quel momento che la parola “scandalo” viene associata per sempre al suo nome: Nessuno torna indietro è la storia di otto ragazze che aspirano ad una autodeterminazione impensabile e non necessaria per la donna fascista. Una di loro, addirittura, rifiuta la prospettiva di diventare madre e preferisce la via della prostituzione. A causa dei contenuti scabrosi del romanzo, de Céspedes compare diciassette volte davanti alla commissione della censura fascista e ogni volta, alla domanda “Lei si vergogna di aver scritto questo libro?”, risponde “No”. In accordo con l’editore, il testo rimane invariato e questo causa all’autrice un breve periodo di detenzione e, soprattutto, il ritiro del Premio Viareggio. Da quel momento, e per tutta la sua lunghissima carriera di scrittrice, Alba de Céspedes rifiuta di partecipare a qualsiasi premio letterario1.

Dal dopoguerra agli anni Novanta, Alba de Céspedes si impone definitivamente come autrice di rilievo: nel 1944 fonda la rivista letteraria Mercurio e nel 1949 pubblica per Mondadori Dalla parte di lei, secondo successo mondiale, che la fa accedere all’Olimpo del panorama editoriale italiano nel Novecento.

Quaderno proibito viene pubblicato tre anni dopo, nel 1952. È la storia di Valeria Cossati, una casalinga romana sulla quarantina, con due figli ormai quasi adulti, che un giorno cede all’impulso di comprare un quaderno nero in cui scrivere le sue impressioni sulla vita quotidiana. Il quaderno è proibito prima di tutto perché viene acquistato di domenica, quando non era consentita la vendita di articoli diversi dai tabacchi: la parola viene usata per la prima volta dal tabaccaio, alle cui remore Valeria oppone un disperato senso di necessità: del quaderno ha assoluto bisogno. 

In secondo luogo, il quaderno è proibito – e deve quindi rimanere segreto perché per Valeria sarebbe impossibile spiegare a suo marito Michele e ai figli Riccardo e Mirella l’esistenza di pensieri intimi che non riguardano la famiglia e che non possono essere condivisi. Quando Valeria comincia a scrivere, questi pensieri ancora non hanno una forma definita: il quaderno raccoglie racconti di ordinaria vita domestica ed emerge il quadro di una famiglia in cui l’esistenza sembra scorrere tranquilla, nella direzione più appropriata. Valeria lavora in un ufficio e si prende cura della casa, Michele è un buon capofamiglia, Riccardo e Mirella frequentano l’università.

La scrittura, tuttavia, rivela gradualmente le crepe nella vita famigliare e costringe Valeria a guardarsi dentro:

«[…] da quando ho incominciato a prendere nota degli avvenimenti quotidiani, li trattengo nella memoria e tento di capire perché si siano prodotti. Se è vero che la nascosta presenza di questo quaderno dà un sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve a renderla più felice. In famiglia bisognerebbe fingere di non avvedersi mai di quello che accade o, almeno, non domandarsene il significato.» (p.20)

Gradualmente, Valeria si accorge di non esistere ormai che come moglie e come madre. In casa è una figura indispensabile per suo marito e per il figlio Riccardo, mentre la sua presenza è sempre meno importante per Mirella, autonoma e piena di idee nuove che la donna non riesce a capire fino in fondo. Anche la vita in casa non è serena come appariva all’inizio: Michele reprime la frustrazione di aver accantonato i suoi sogni di scrittore; Riccardo è a disagio per la velocità con cui si muove il mondo intorno a lui e cerca una forma di stabile felicità replicando con la fidanzata le dinamiche famigliari in cui è cresciuto; Mirella, infine, frequenta un uomo molto più grande di lei, per di più sposato, e pretende una libertà che Valeria disapprova e invidia allo stesso tempo.

L’unico luogo in cui la donna può smettere di essere una figura domestica di riferimento e ritornare semplicemente Valeria Cossati è l’ufficio: qui la protagonista intreccia una relazione con il suo capo a un malinconico tentativo di fuga dalla realtà, e soprattutto riflette sul piacere che ricava dal lavoro e su come quel piacere le sia concesso solo in quanto necessario all’economia famigliare.

«Una donna che lavora [..] porta in sé la lotta tra la donna tradizionale che le hanno appreso a essere e quella indipendente che ha scelto di divenire. C’è un continuo conflitto in lei. Risolverlo, superarlo, costa: soprattutto nei riguardi degli uomini.» (p. 196)

De Céspedes stessa sottolinea come uno dei temi portanti di Quaderno proibito sia il doppio lavoro delle donne: quello domestico, non riconosciuto e solamente inteso come attività principale indispensabile per mandare avanti la casa, e quello fuori casa, altrettanto importante quando necessario per il bilancio della famiglia, ma tollerato a malapena in quanto svilente per l’ideale virile del maschio che provvede a donne e bambini. In questo scenario non rimane spazio per le passioni non remunerative: il Quaderno, afferma de Céspedes2, è proibito soprattutto perché non produce denaro. Settant’anni dopo abbiamo forse fatto pace con l’idea della donna lavoratrice, ma non abbiamo ancora riconosciuto degnamente il lavoro domestico, che continua nella maggior parte dei casi ad essere una prerogativa femminile invisibile e silenziosa. Il senso di colpa della madre, la maternità come distacco da ogni forma di piacere personale continuano ad essere temi tanto attuali da farsi oggetto di romanzi contemporanei – tra le ultime pubblicazioni, penso ad Amare tutto di Letizia Pezzali. 

Una scena dello sceneggiato Rai tratto da Quaderno proibito

Alba de Céspedes, dunque, non ha solo anticipato di vent’anni il dibattito femminista più mainstream, ma ha soprattutto individuato i temi più scottanti e profondi della questione di genere, temi su cui ancora oggi discutiamo e siamo titubanti. L’ottimismo generazionale dell’autrice è evidente nel modo in cui è impostato il rapporto tra Valeria e sua figlia Mirella: la giovane rivendica il diritto di mettere in discussione criticamente i valori tradizionali che le sono stati trasmessi in famiglia, e rinfaccia a Valeria di essere fortunata ad avere un senso del giusto e dell’ingiusto saldo e inamovibile. Mirella ignora la complessità di sua madre, a cui peraltro non le è concesso di accedere: il conflitto tra le figlie che vogliono evitare di diventare come le loro madri e le madri che non capiscono l’irrequietezza delle figlie è un altro tema portante del romanzo e ancora attualissimo.

«Non capisce che sono stata proprio io a renderla libera, io con la mia vita dilaniata tra vecchie tradizioni rassicuranti e il richiamo di esigenze nuove. È toccato a me. Sono il ponte di cui lei ha approfittato, come di tutto approfittano i giovani: crudelmente, senza nemmeno avvedersi di prendere, senza darne atto. Adesso posso anche crollare.» (p. 245)

I padri, in letteratura, sono figure dichiaratamente conflittuali e ingombranti. Il discorso sulle madri, invece, è più complesso. La loro versione della Storia non è mai stata veramente ascoltata e sono spesso messe a tacere dalle loro stesse figlie, anche nella letteratura contemporanea: penso ad esempio alla quadrilogia de L’amica geniale e alla fatica di Lenù per ascoltare e vedere veramente la propria madre, al di là dello spettro da cui fuggire che l’ha perseguitata per tutta l’adolescenza. In Quaderno proibito, invece, l’autrice adotta proprio il punto di vista della madre, imbrigliata in un ruolo da cui ormai non può slegarsi senza dolore e tuttavia ponte indispensabile perché la figlia Mirella possa permettersi di essere veramente libera.

Nonostante l’ottimismo generazionale a cui accennavo – de Céspedes ci consegna una Mirella autoconsapevole e perfettamente emancipata – il lettore contemporaneo non può evitare di provare una sorta di malinconia verso questo personaggio: a quali catene Mirella non riuscirà a sottrarsi in futuro? Esistono generazioni veramente indipendenti delle precedenti, si può andare avanti senza le madri a fare da ponte?

«Quando eravamo fidanzati io peccavo con Michele, ma fingevo di farlo malvolentieri, trascinata da lui, senza acconsentire. Così è stato anche la sera delle nostre nozze, e dopo, ogni volta che Michele, la notte, mi si avvicinava. […] Questa è la differenza tra Mirella e me; mi pare che, accettando consapevolmente certe situazioni, ella si sia liberata per sempre dal peccato.» (p. 192)

La sessualità repressa di Valeria, cristallizzata nel rifiuto del marito di avere rapporti con lei “come dei ragazzini”, è una delle molte sbarre che la rendono prigioniera: come rassegnarsi a perdere un aspetto della vita mai davvero conosciuto? L’amarezza di una donna di mezza età che si accorge di essersi privata di una piena conoscenza di sé per dei valori in cui forse non crede neanche sul serio è resa con una lucidità sorprendente per un romanzo pubblicato negli anni Cinquanta.

Qual è, quindi, lo scandalo che Quaderno proibito ha portato nell’editoria italiana alla sua uscita? Sicuramente, come afferma l’autrice stessa3, la portata rivoluzionaria di questo testo sta nell’aver individuato nella famiglia il luogo in cui nasce l’oppressione della donna, in un periodo storico in cui i diritti femminili erano rivendicati solo dalle associazioni sindacali e nell’ambito lavorativo. Alba de Céspedes scoperchia una questione che era ancora sommersa, taciuta o discussa a mezze parole e lo fa punto per punto, creando un quadro sociale e politico così perfetto che non si può evitare di chiedersi per quale motivo questo romanzo non si studi a scuola e sia anzi praticamente irreperibile.

Alla sua uscita, Quaderno proibito ebbe un successo di pubblico incredibile, tanto che ne furono tratti uno spettacolo teatrale (1962) e uno sceneggiato televisivo (1980). La stampa, tuttavia, maneggia il contenuto del libro come una bomba ad orologeria: non si può non parlare di Alba de Céspedes, ma non si può neanche dare visibilità ai suoi libri senza edulcorarli in qualche modo.

In un articolo del 1961 sul Corriere della Sera4 viene presentata l’imminente messa in scena della piéce teatrale tratta da Quaderno proibito: lo spettacolo avrebbe debuttato quasi contemporaneamente in tre capitali, Roma, Londra e Parigi.  Dopo un ovvio e quanto mai attuale riferimento al fatto che l’autrice è – non sia mai altrimenti – una donna molto avvenente, il giornalista parla della commedia come di un testo in cui «le madri si sacrificano e rinunziano, ma sono sacrifici e rinunzie che poi sconta tutta la famiglia». Questa osservazione è prima di tutto incorretta: la famiglia di Valeria non risente in alcun modo del suo sacrificio, anzi, può restare unita e in piedi solo grazie al totale annullamento della donna. Riflette, inoltre, l’unico motivo per cui era consentito parlare della sofferenza di una donna costretta a rinunciare alla vita: il possibile effetto negativo sulla “famiglia”.

La mia edizione del romanzo è del 1978, un Oscar Mondadori tascabile. L’editore, che pure sostenne l’autrice per tutta la sua carriera, sceglie di presentare il romanzo con questa citazione sulla copertina, appena sotto il titolo:

«Ci siamo tanto allontanati l’uno dall’altra, che non riusciamo neppure a vederci: e andiamo avanti, soli.»

Sebbene la quarta di copertina renda poi giustizia all’interesse sociale e politico del romanzo, il primo approccio del lettore al libro crea un’immagine fuorviante, quella di una donna che soffre per un amore irrisolto e non più corrisposto. Ancora alle soglie degli anni Ottanta, insomma, un libro che ha per unico oggetto il dramma interiore di una donna era considerato un oggetto scarsamente vendibile, o peggio, un romanzo rosa.

L’opinione generale sembrerebbe non essere troppo cambiata, visto che Quaderno proibito, come la maggior parte delle opere di Alba de Céspedes, è ormai fuori catalogo. Oggi, a 110 anni dalla sua nascita, non possiamo che augurarci che la voce di quest’autrice possa tornare a farsi sentire da più persone possibili, e che le sue opere conoscano la nuova vita che meritano.

Loreta Minutilli


1 Dal documentario Scrittrici del ‘900 – Incontro con Alba de Céspedes, disponibile su RaiPlay.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Distrugge il mito delle madri di famiglia: “Quaderno proibito di Alba de Céspedes”, U. Naldi, Corriere della Sera, 29 novembre 1961.

Tutte le citazioni sono tratte da Quaderno proibito, Alba de Céspedes, Mondadori, Collana Gli Oscar, Milano 1978.

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