“Qualcosa nella nebbia”: un romanzo terapeutico

Qualcosa nella nebbia, Roberto Camurri
(NNE, 2022)

Riconoscere un libro o un racconto di Roberto Camurri può essere incredibilmente facile: non sono molti gli autori che ambientano le loro storie tra le strade di Fabbrico. Eppure è stato quasi paradossale accorgermi che, anche una volta concluso il terzo libro, quelle strade mi sono rimaste del tutto sconosciute. L’ambientazione è uno dei tasselli fondamentali della scrittura di Camurri, ma Fabbrico non ha nulla di concreto, è un’atmosfera, un’idea, quasi un concetto astratto. A tratti ha la dimensione di un quartiere, quando i personaggi si sentono ingabbiati tra i suoi confini geografici, per poi espandersi fino a trasformarsi in un immenso buco nero, nel momento in cui la città risucchia la vita degli abitanti rendendo loro impossibile fuggire via.

Tra le pagine dei romanzi di Camurri, Fabbrico diventa il contenitore delle vite di persone infelici. Lo è in A misura d’uomo, dove le esperienze di tre amici si intrecciano con le vicissitudini degli altri abitanti della città; lo è in Il nome della madre, dove un padre e un figlio imparano a convivere con l’assenza della moglie/madre. Lo è soprattutto in Qualcosa nella nebbia, dove il Camurri-scrittore si mette metaforicamente a nudo ed entra in dialogo con i suoi stessi personaggi, soli e abbandonati, deboli e sconfitti, incapaci di trovare il loro posto nel mondo.

Nel suo ultimo romanzo, Camurri mette in scena le vicisitudini di uno scrittore che ha vissuto esperienze a tratti simili alle sue, a tratti del tutto inventate. Il suo alter ego letterario ha ottenuto un discreto successo ambientando il suo primo romanzo in una città a lui sconosciuta: Fabbrico, per l’appunto. Recentemente sta lavorando sui racconti di tre nuovi personaggi, anche se ci vuole tempo prima che capisca che esiste un legame tra loro. Comincia quindi con Alice, che sembra essere riuscita a costruirsi una vita mediocre fuori dalla sua città natia, almeno fino a quando gli errori del passato non la travolgono nuovamente costringendola a fare ritorno. Poi c’è Andrea, detto Jack, che conclude la sua vita infelice con una siringa impiantata nel braccio; infine Giuseppe, che ancora vive nello stesso fienile dove suo padre si è suicidato, senza riuscire a separarsi dal ricordo del loro rapporto.

La storia di Alice, Andrea e Giuseppe si alterna quindi ai capitoli dedicati al loro autore. Durante un viaggio in Olanda, lo scrittore si scontra con i peggiori difetti del suo carattere e con l’ombra di un trauma impalpabile legato al mistero di quella Fabbrico apparentemente sconosciuta, eppure onnipresente. Tra un capitolo e l’altro, il libro alterna l’immagine sempre più nitida di una casa avvolta dalla foschia.

Più che un romanzo, Qualcosa nella nebbia sembra un combattuto percorso di auto-terapia. La presa di coscienza del Camurri-personaggio è vertiginosamente realistica, mentre Alice, Andrea e Giuseppe sono tra le figure più nere e spaesate mai apparse nei suoi libri. I suoi personaggi sembrano non avere alcuna speranza. Non esiste una via di uscita, non c’è un raggio di sole che vinca la nebbia, persino la morte non sembra un sollievo. E il cuore di ogni male, il buco nero, è proprio Fabbrico.

Non è un caso che i capitoli si alternino all’immagine di una casa. Al di là del riferimento narrativo ad alcuni eventi specifici, la Casa e Fabbrico sono simbolicamente la stessa cosa: uno spazio geografico chiuso, dove lo scrittore (quello reale e quello inventato) ha trascorso l’infanzia, un luogo in cui si annidano delle memorie fondamentali, ma da cui lui e i suoi personaggi provano a fuggire; eppure c’è qualcosa che li riporta sempre lì, tra i confini apparentemente sicuri delle sue mura. Camurri sembra usare il romanzo come strumento per ritornare nella casa, vedere cosa si è lasciato indietro e provare forse ad allontanarvisi una volta per tutte. I suoi personaggi non ci riescono, ogni tentativo di andarsene li riporta di prepotenza al punto di partenza. Mi auguro che il loro autore sia riuscito laddove loro hanno fallito.

I tre romanzi che Camurri ha pubblicato con NNE seguono un percorso che trova una sua possibile conclusione in Qualcosa nella nebbia. Se all’inizio Fabbrico sembra essere solo un’ambientazione particolare (A misura d’uomo), già in Il nome della madre si trasforma nel cuore di un trauma irrisolto, dove due uomini conservano il ricordo di una figura importantissima della loro vita, la moglie/madre, ormai perduta.

Qualcosa nella nebbia problematizza Fabbrico rendendola la vera antagonista della storia. Immagino che possa essere straniante per un lettore che si appresta a leggere Camurri per la prima volta, al punto che suggerirei quasi di considerare i suoi libri come una trilogia e seguire l’ordine di pubblicazione. Eppure, la dimensione radicalmente personale della narrazione è compensata da uno stile che non può non coinvolgere. Oltre ai riferimenti a Fabbrico, è proprio la scrittura musicale, incalzante e dinamica a rendere immediatamente riconoscibile un romanzo di Camurri. Leggerlo è sempre un piacere, anche quando le storie che racconta mettono in scena personaggi tormentati e insicuri, violenti e privi di speranza, come Alice, Andrea e Giuseppe, e come lo stesso Camurri a volte tratteggia anche se stesso.

Anja Boato


Foto di copertina di Matheus Bertelli da Pexels

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...