Ciò che si vede nel rumore del fiume

Nel rumore del fiume, Franca Cavagnoli 
(Alessandro Polidoro Editore, 2023)

Nel suo ultimo romanzo, Franca Cavagnoli sceglie come soggetto l’infanzia – l’età che è forse la più difficile da raccontare –, e lo fa utilizzando una forma che permette al lettore di immedesimarsi completamente nella protagonista. Nel rumore del fiume è infatti un romanzo di “voce” piuttosto che “di trama”: al centro della storia c’è un unico evento importante, che aleggia costantemente al di sopra della narrazione, senza però essere mai  veramente raccontato.

La protagonista è Beatrice, una bambina dalla fervida immaginazione che vive in un paese non ben precisato sulle rive dell’Adda. La sera, quando è sola a letto, vede delle teste di creature mostruose comparire sul soffitto della propria camera, e ogni tanto parla tra sé e sé, come se si stesse rivolgendo a uno spirito. Gli adulti che fanno parte della sua vita non capiscono questa attitudine all’introspezione, e trovano strani i suoi comportamenti. Solo lo zio Francesco sembra in parte capirli, ed è infatti proprio lui che le regala quegli strani libri di mostri e creature che riempiono le sue fantasie.  

Un evento tragico porta Beatrice lontana dal suo fiume, in un altro luogo non ben precisato (che però si intuisce essere nel sud), vicino ad un altro tipo di acqua. In queste nuove rive, così diverse dal suo fiume, la protagonista ha paura a specchiarsi: nel mare verde e turchese non ci vuole proprio entrare.

Pagina dopo pagina, lentamente, impariamo a conoscere la vita interiore di questa bambina, tramite la descrizione di piccoli eventi circoscritti. Il romanzo è infatti composto da capitoli brevissimi, a volte anche più corti di una pagina, che inquadrano specifici momenti della vita di Beatrice e mirano a catturarne così l’essenza. In questo senso, Nel rumore del fiume assomiglia a un album di fotografie, e questa impressione è rafforzata anche dallo stile di scrittura, che tende al lirismo. Soprattutto le prime pagine, infatti, sono intrise di un linguaggio ricercato, poetico, volto a catturare le immagini piuttosto che le azioni, e questo contribuisce a rafforzare la componente visiva del romanzo, piuttosto che quella narrativa. Sfogliando le pagine del libro, ci si ritrova ad osservare vere e proprie fotografie mentali messe su carta.

Questo modo di far procedere la narrazione rende benissimo l’idea di come funziona la nostra mente quando siamo bambini, e ha quindi il potere di farci vedere con estrema efficacia il mondo tramite gli occhi di Beatrice. Se ci si riflette, infatti, quando si è piccoli si pensa più per immagini che per parole, ed è esattamente quello che accade in questo libro.

Non sempre questa tecnica è efficace: a volte servirebbe una svolta, qualcosa che accada, e c’è il rischio che l’intensità della scrittura si affievolisca. Ma Cavagnoli riesce a tenere bene insieme il tutto, ad intervallare ricordi piacevoli a ricordi estremamente dolorosi, mantenendo così la tensione sempre costante.

Il mondo degli adulti fa da sfondo: le loro faccende quotidiane e i loro discorsi semplici fanno da contraltare alle intricate fantasie di Beatrice.

«Nessuna di loro si è accorta che Beatrice è seduta in cucina a fare i compiti e la porta è solo accostata. Cieche. […] non vedono niente. […] Non vedono nemmeno su quali tombe mi siedo e su quali non mi siedo. […] E non vedono se sto seduta e racconto o se sto seduta e penso)».

Il loro sguardo sulla bambina appare a volte quasi spietato, sicuramente superficiale, come se in loro si fosse completamente chiusa quella porta mentale che ci permette di vedere il mondo con occhi diversi da quelli della razionalità.

Per certi versi, Nel rumore del fiume ricorda un altro valido romanzo contemporaneo, che ruota attorno ai fantasmi e alle fantasie dell’infanzia:  La casa capovolta, con cui Elisabetta Pierini ha vinto la XXIX edizione del Premio Calvino. Anche in quel caso la storia ruotava attorno ad un’infanzia “rubata”, segnata da un evento traumatico, ma caratterizzata allo stesso modo da una fortissima spinta all’immaginazione e all’evasione dalla realtà.

Nonostante queste somiglianze, i due libri arrivano a conclusioni quasi opposte: se il libro di Pierini si conclude portando all’estremo la parte immaginifica e “irreale” del romanzo, quello di Cavagnoli prende una direzione diversa, e ci restituisce una protagonista che ha imparato – anche e forse soprattutto grazie alla sua immaginazione – a convivere con il suo lutto e ad accettare la realtà.

Francesca Rossi

Immagine in evidenza: Perseus with the Head of Medusa (http://emp-web-84.zetcom.ch/eMP/eMuseumPlusservice=ExternalInterface&module=collection&objectId=17340&viewType=detailView)

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