Allungandosi per prendere Il lama dell’Alabama

Don Chisciotte aveva riservato per il suo fido scudiero Sancho Panza un cavallo di seconda scelta chiamato Ronzinante; gli aveva inoltre affidato l’ingrato compito di accompagnarlo in avventure fantasiose, contro nemici che non esistevano e alla ricerca di qualcosa che non c’era. Sancho Panza, malgrado qualche timido rimbrotto, segue costantemente Don Chisciotte pur non sapendo esattamente cosa gli sta accadendo intorno. Ne Il lama dell’Alabama Winston Coleman – ragazzo romano che all’anagrafe risponde completamente a un altro nome e che, fino al momento in cui incontra il protagonista e narratore del libro, consegna pizze a domicilio – ricorda proprio Sancho Panza. Lo ricorda perché anche l’investigatore che si prende la briga di raccontarci un suo frammento di vita, come scopriremo poi, parlando direttamente con il lettore e segnalandogli esplicitamente cosa ha in mente di fare e quindi di scrivere tra una riga e l’altra, ricorda Don Chisciotte. In questo fortunato schema narrativo i due si mettono alla ricerca di un orologio scomparso: un orologio comunissimo, dal poco valore, che potrebbe essere dovunque.

Ore 20:01. Eccoti.
Eccoti, Coleman: puntuale e affidabile come solo Coleman sa essere, zelante di Mancia come solo Coleman sa essere. Ecco che parcheggi il tuo motorino da rider, ecco che ti destreggi nell’ingombro di cartoni e bevande, ecco che io apro il mio ombrello, ecco che mentre con il naso tu citofoni si squarcia ogni cielo e un’apocalisse un finimondo un’ira funesta di tonnellate di pioggia battente si abbatte giù; e mentre di gran corsa io rientro al riparo tra le pareti domestiche, mi perdo la scena in cui tu sei preso dal panico, in cui tutto ti casca per terra, e tu continui a suonare il citofono e tenti di recuperare e di preservare e di salvaguardare cartoni e bevande, e io, prima ancora di aprire il portone chiamo qui l’ascensore, lo richiamo al mio piano e lo lascio socchiuso, bloccato – sbadato. Rispondo al citofono, Coleman, e ti dico: Ultimo piano, grazie. (p. 17)

Coleman e il suo Don Chisciotte iniziano la ricerca dell’orologio mentre Sabrina spira e tutto il romanzo, fatto di movimenti minimi della trama, si svolge mentre Sabrina spira. Sabrina rimane sullo sfondo nella sua condizione così evidente eppure celata e, appunto, mentre Sabrina spira entrano in scena altri personaggi che Guido/Don Chisciotte ci presenta come fossero noti. La vita contenuta nella narrazione de Il lama dell’Alabama avviene mentre si scrive: sembra non esserci distanza temporale tra la penna e le cose. 

Alice Tuttoburro, Marianna Fuma, Ulisse Pulviscolo, Ettore Calcestruzzo sono solo alcuni dei personaggi con cui Guido si intrattiene e che permettono alla trama sottilissima di procedere in avanti e al narratore di descrivere cosa vedono i suoi occhi così curiosi. I loro nomi dicono molto, i loro movimenti stimolano le reazioni di Guido che, così, ci si manifesta in maniera più chiara. 

Non mi sbagliavo: è qui che Alice Tuttoburro crea le sue creazioni, opera sulle opere ripiega gli origami, nella quiete verde del capanno, lontana da ogni disturbo e non la si disturbi, non disturbiamola noi non facciamoci sentire assiepiamoci al laghetto della biodiversità, il silenzio del capanno non dev’essere turbato, mentre il trillo telefonico lo turba. (p. 235)

Nel prosieguo del romanzo la ricerca dell’orologio si eclissa, per poi riemergere e chiudere anticipatamente il cerchio. Tutto sembra volersi tenere sulla lingua piena di allitterazioni e giochi di parole di Niccolò Cavallaro. L’originalità di questa scrittura è senza dubbio interessante ma alla lunga rischia di risultare sterile, manieristica. Ogni tanto la narrazione è interrotta da piccole composizioni poetiche che sottolineano elementi dei personaggi esasperando il linguaggio che Cavallaro non abbandona mai durante tutto il romanzo.

L’albero a cui tendevi 
trappole e tranelli 
dispetti e trabocchetti 
tra passi trapassati 
L’albero a cui tendevi 
agguati senza guanti 
guaiti senza canti 
L’albero a cui tendevi 
pensando ai fatti tuoi 
L’albero a cui pendevi
(p. 63)


Questo, insieme a una trama che percola lentamente verso un’evoluzione minima, alla lunga può risultare stancante. Il lama dell’Alabama (romanzo giustamente segnalato nell’edizione 2023 del Premio Calvino) ha delle notevoli intuizioni, compresa quella linguistica, eppure sembra schiacciarsi troppo su queste senza allontanarsene mai, senza cambiare per tornare a casa e mostrare così al lettore la differenza. Il romanzo resta per lunghi tratti piatto, stretto intorno all’ironia sagace che la sua lingua ha costruito, col rischio che tutto venga annacquato, compresi i molti elementi di novità che rendono comunque questo libro un esordio promettente.

Saverio Mariani


Foto di Chris su Unsplash

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