La cattiva strada, Sébastien Japrisot
(Adelphi, 2018 – trad. S. Mambrini)
Quando La cattiva strada viene pubblicato in Francia per la prima volta il suo autore, che si fa chiamare con lo pseudonimo di Sébastien Japrisot, ha appena 19 anni. Questo dato sarebbe sufficiente a suscitare l’interesse della critica verso un’opera che parrebbe guidata da una penna molto più esperta, ma è anche il 1950 e il volume viene accolto con qualche perplessità: non possiamo biasimare del tutto la critica francese, dato che la storia d’amore raccontata da Japrisot è audace anche per gli standard contemporanei.
Il romanzo vinse poi il Prix de l’Unanimité nel 1966 ed ebbe grande successo negli Stati Uniti. Da alcune settimane è tornato anche nelle librerie italiane, ripubblicato da Adelphi Edizioni nella nuova traduzione di Simona Mambrini.
La vicenda si svolge a Marsiglia nel 1944, durante una Seconda Guerra Mondiale che nella prima parte del romanzo è solo un lontano sfondo alle vite dei protagonisti. Denis ha quasi quattordici anni, frequenta una rigida scuola gesuita e il suo unico pensiero è combinare quante più scorribande possibili per eludere la noia delle lezioni senza venire punito. Suor Clotilde di anni ne ha ventisei, ha preso i voti da ragazzina per volere dei genitori e non sa niente della vita. Un giorno, quasi per caso, Denis e Suor Clotilde si incontrano e da allora le loro vite non saranno più le stesse.
Denis rimane folgorato dalla visione della bellissima suora vestita di bianco e con candido entusiasmo escogita ogni stratagemma per riuscire a vederla e a parlarle, quasi inconsapevole di cosa questo significhi. Suor Clotilde, invece, percepisce da subito il pericolo di quell’insolita amicizia.
«Si diceva: è una prova, una cosa che può succedere, di cui si sente parlare, una prova. Una pensa che non le possa capitare, non a me. E poi si apre una porta e si
richiude, ci sei dentro.» [p. 61]
Una prova implica la necessità di una scelta. Se molte altre donne nella sua situazione avrebbero cercato di accantonare quei sentimenti inopportuni, Suor Clotilde rivela una volontà ferrea e si abbandona con rimorso ma senza rimpianti ad una passione che riconosce da subito come incontrollabile. Sceglie la cattiva strada, per sé e per Denis, e inizia così la relazione tra i due, paradossalmente favorita dall’inasprirsi della guerra.
«Ma non pensò più neanche lontanamente di smettere di vederlo. La sua primavera era troppo forte, troppo calda, troppo improvvisa, troppo divorante. La sua primavera era per lei più necessaria della vita stessa.» [p. 77]
L’amore tra Denis e la suora è descritto pudicamente, ma con una morbosità che riesce a metter quasi a disagio il lettore anche nel 2018. Con l’innocenza totalizzante del primo amore, i due si promettono di restare per sempre insieme, valicano ogni possibilità di vergogna, scavalcano le barriere dell’età come se non esistessero. Quanto si spingeranno oltre questi spregiudicati amanti, quante regole riusciranno ad infrangere? Questa domanda si fa più pressante pagina dopo pagina, man mano che l’incedere della guerra fa sembrare le convenzioni sociali sempre meno rilevanti.
La prosa è fortemente visiva, quasi cinematografica, soprattutto nelle scene alla scuola gesuita – e in effetti Japrisot fu oltre che scrittore anche regista e sceneggiatore. Il ritmo si mantiene aggraziato tanto nelle scene di vita quotidiana, tanto nei momenti più concitati della storia di Denis e Suor Clotilde: lo stile tranquillo, quasi distaccato, sembra quasi suggerire che tutto si risolverà per il meglio, che la passione predestinata dei due amanti non potrà che avere un lieto fine.
La cattiva strada è un libro che turba: è difficile empatizzare fino in fondo con i protagonisti, accantonare insieme a loro le obiezioni del mondo esterno e condividere il loro entusiasmo infantile. La totale assenza di cinismo, nei due innamorati e nell’approccio dell’autore alla loro relazione, disorienta e lascia perplessi: cosa pensa Japrisot della sua storia? Cosa vuole sfidare, cosa vuole suggerire? La miglior risposta viene forse dall’epigrafe che l’autore stesso appone al libro:
«Credi nel tuo Dio se puoi,
ma credi soprattutto nella vita.
Se la tua vita dimentica il tuo Dio, tieniti stretta la vita.
Se il tuo Dio ti impedisce di vivere, abbandona il tuo Dio.
La tua vita è l’unica cosa che hai
e, chiunque tu sia, il tuo Dio non è il mio.»
Loreta Minutilli
Decisamente intrigante, lo leggerò. Grazie per la recensione.
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