La pista di ghiaccio, il terreno scivoloso del noir in Bolaño

La pista di ghiaccio, Roberto Bolaño
(Adelphi, 2019)

lapistadighiaccioLa pista di ghiaccio è l’ultimo romanzo di Bolaño pubblicato in Italia. Inizialmente per Sellerio, adesso per Adelphi.
Ogni volta che leggo un’opera di Roberto Bolaño ho la sensazione che – per capirlo davvero – ci si dovrebbe leggere tutte i romanzi, senza ordine, poi riprenderli tutti e cercare di carpirne i legami, le quantità di richiami e riferimenti reciproci. Come si dovrebbe fare per Cervantes, forse. In ogni caso, Bolaño ha la capacità di scrivere sempre le stesse cose – come tutti gli scrittori – in mille modi differenti, e tutti splendidamente orchestrati (e orchestrali, corali).

La storia si presenta come un giallo: l’omicidio è presente sin da subito, ma non sappiamo chi sia la vittima sino a un buon terzo del romanzo. Una donna, una ex cantante lirica che ora vive come una barbona, viene uccisa in modo brutale. I protagonisti narranti della storia sono tre, ai quali viene riservato il diritto di parola in un turno continuo tra capitoletti: Gaspar Heredia è un poeta messicano approdato in Spagna (probabilmente alter ego di Bolaño il quale, come in ogni suo romanzo, dissemina indizi autobiografici e personaggi che sono sempre a lui riconducibili), vecchio conoscente del secondo protagonista, Remo Moràn, un commerciante che fornisce ad Heredia un lavoro temporaneo. Infine, abbiamo Enric Rosquelles, un grassoccio e cinico politico che si occupa del sociale nella città di Z., luogo centrale e nevralgico entro il quale si snodano gli eventi della trama.

La teoria narrativa di un giallo proporrebbe che, al punto della scoperta dell’omicidio, i tre protagonisti cerchino un colpevole, o addirittura di nascondere loro stessi da eventuali sospetti da parte un possibile investigatore. Nulla di tutto ciò accade, anzi piuttosto è la verità – intesa sia filosoficamente che materialmente – a risultare davvero poco interessante ai fini della trama.

I fatti narrati risultano poco affini all’omicidio – nel senso che nulla di quanto viene detto mira davvero al “dis-velamento” finale del colpevole – e anche la scelta di nominare la città Z. non è assolutamente casuale: è come se Bolaño stesse cercando di far comprendere al lettore che il giallo non è il focus sul quale ancorare la propria concentrazione. Non sono importanti gli indizi, i luoghi frequentati dai protagonisti e dalla vittima. È la Spagna, nazione che adottò Bolaño e nel quale lui si sentiva a casa (tanto da scagliare più di una feroce critica, come farebbe un parente affezionato), e tanto basta da sapere per crearsi uno scenario. Il resto, non è importante.

Ciò che conta, piuttosto, è lo scenario umano che si crea in sottofondo all’omicidio, prima e dopo. Infatti, l’unico luogo fisico importante sembra essere il luogo del delitto: la pista di ghiaccio. Ma essa è importante non tanto per la sua funzione di luogo del delitto, come come luogo segreto costruito in quanto pegno d’amore da Enric per la pattinatrice Nuria.

Sono gli amori malati, che in questo caso sono il motore della storia, il vero fulcro del romanzo: sono questi desideri malati, taciuti e mal interpretati, a generare una serie infinita di silenzi, bugie e azioni avventate. Chi tace, chi nasconde, chi non coglie i segnali. Non è la verità l’importante, seppur nel giallo sembrerebbe doverlo esserlo, ma qui è centrale la questione opposta: se verità, in greco, significa letteralmente “dis-velamento” (ἀ-λήθεια), invece in questo romanzo Bolaño ragiona proprio su ciò che volontariamente si tiene velato, nascosto, intimo.

Il romanzo è un anticlimax narratologico: dovrebbe seguire delle regole prescelte e molto rigide, e ogni qual volta ci si aspetta dalla trama che essa segua un determinato sviluppo, ecco che Bolaño decide di virare in un’altra direzione (solitamente semi-autobiografica). Nonostante questo, la storia riesce a mantenere la suspance e a confermarsi come un giallo in piena regola, il che è un evento letterario, direi.

Come si legge nel meraviglioso sito “Archivio Bolano” (chiunque nutra una venerazione per questo scrittore, come la sottoscritta, è caldamente incoraggiato a farci un salto): “Bolaño, acuto lettore di Borges, concordava probabilmente con il giudizio del Maestro sul genere poliziesco: è il più artificioso che ci sia, dato che i casi perlopiù vengono risolti solo grazie a una soffiata, e non alle indagini. Eppure, l’atmosfera rarefatta di suspense che sa creare anche in questo romanzo, con pochi cenni magistrali, dosando sapientemente preziosi indizi e piste fuorvianti per il lettore più attento, non ha niente da invidiare a quella dei migliori giallisti; nel frattempo, intesse le sue storie – autobiografiche, come sempre – di latinoamericani smarriti nel mondo”.

Clelia Attanasio

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