L’essere senza casa di Maini

Casa rotta, Valentina Maini
(Arcipelago Itaca, 2016)

maini-casa-rotta-arcipelago-itacaQuesta volta torniamo a parlare di un libro di esordio: La casa rotta di Valentina Maini. La sua è una poesia in cui tutto viene ribaltato di segno, a partire dalla struttura speculare del libro, dove al centro si ripete la stessa poesia. L’esergo di Cappello: «l’albero è capovolto, la radice nell’aria» afferma la volontà poetica di mostrare non solo la radice, ma di impiantare un elemento nel suo impossibile, ricordando una struttura neuronale in cui il linguaggio adoperato dalla poetessa coinvolge diverse zone contemporaneamente, deflagrando, spesso, il senso logico a causa delle omesse concordanze soggetto-verbo, aggettivo-nome.


La casa propria qui è smaterializzata, «scucita», portando il soggetto in una condizione di apolide nei confronti di un proprio autobiografismo e autobiografia. La casa è rotta, ma non c’è uno sguardo lirico, che, diversamente, avrebbe coinvolto la rottura.

Se le radici vengono mostrate è perché è avvenuto uno sradicamento. I punti nevralgici coinvolti in questa estirpazione sono definiti in maniera esatta dal massiccio uso dei due punti. La loro rapidità conferisce al ritmo della lettura una velocità spropositata: l’esattezza dei due punti divora lo spazio dell’attesa per la parola, lo spazio dove agisce il transfert. Si ha una chiarificazione lapidaria con contratture logiche notevoli.

Non è l’intero corpo della lingua a venire smembrato dalla Maini, quanto i nessi tra soggetto e verbo, cioè tra persona e azione, svelando un’impulsività rasente l’ansia. Questa poesia riporta una disfunzione, è rotta. Viene rappresentata la difficoltà di coniugarsi in un momento determinato, in un qui, ci riporta alla dimensione spaziale della casa, in questo caso a-spaziale. La casa che dà luogo alle poesie non ha stanze, non ha pareti, tutto è compresente per la protagonista bambina di alcune poesie, che cresce e ritorna piccola, dispersa nello spazio tempo delle tempie, perché rotta anche lei, soggetta allo stesso smembramento di Penteo. La poesia, allora, perché etimologicamente significa creare, è dove si ritenta un riassemblamento delle parti, degli arti, ma solo riassemblando si rivelano le fratture.  

Sarebbe necessaria una pressione osmotica perché la voce del testo e la sua materia si dividano. La poesia, allora, diventa il luogo rituale dove il trauma «si ripete fu ucciso e ancora muore tutti i giorni» . Le formule matematiche qui non servono a niente se non a battere il ritorno dei termini, provando a dare una logica al mondo. Le forme geometriche sono solo un’idealizzazione di un perimetro che distingua esterno e interno da quello che non è il soggetto. «Lo studio del vetro non ci servirà a nulla».

Questa discrepanza ritorna nel tema ricorrente della sozzura, della macchia, il lercio dei panni, qualcosa da mandare via ma indelebile. Ricorda il rimosso anche la gestualità delle mani lavate con il sapone che si feriscono.

La struttura interna però pecca in chiarezza, e in stabilità. Alcune poesie sembrano cioè abitare posizioni in maniera apparentemente ingiustificata. Con una maggiore accortezza per quanto riguarda l’editing (che nel mondo dell’editoria della poesia manca), si sarebbe potuta conferire una grande stabilità narrativa all’opera tutta. Ma forse questo non interessava alla poetessa, che ha preferito una visione “rotta” in cui voci si confondono con gli anni e gesti. La moltitudine di soggetti sottintesi crea un’indefinito eccessivo, che si aggiunge all’impossibilità, per il soggetto poetante, di vedersi con i propri occhi. Essere in prima persona nella vita è esserne in parte esclusi, è forse questa la rottura, insieme all’unheimlich.

 

Abbiamo raccolto il pane nel giardino,

fosse stato avvelenato, avremmo tinto l’erba

dei nostri corpi gravi, le risate

dall’altra parte del riparo

non avrebbero ferito.

Hanno paura di sentire dolore non sono più

curiosi, dall’altra parte affondano,

ma restano

sulla linea di demarcazione – lei allunga

fino all’infinire, è diventata mobile,

sposta le distanze, si allarga (molti: muoiono)

aumenta il mare di detriti

 

Michele Joshua Maggini

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