Il “Taccuino” di Graziani – Il mondo di Girolamo (e un po’ anche il nostro)

Taccuino delle piccole occupazioni, Graziano Graziani
(Tunué, 2020)

copertina tunuéDurante questi giorni di clausura forzata mi è stata di conforto la lettura di Taccuino delle piccole occupazioni, romanzo di Graziano Graziani pubblicato da Tunué il 12 marzo, l’ultimo prima che tutto si fermasse per via della pandemia. Il libro parla proprio di una piccola reclusione dal mondo, quella di Girolamo Girolamoni, curioso personaggio del quale si delinea la visione della vita attraverso cinquantacinque brevi capitoli posti in ordine rigorosamente non cronologico. Si tratta di frammenti temporali della vita del protagonista che il lettore ricompone per ricostruirne la personalità.

Girolamo vive da solo, non ha figli né parenti, se non il ricordo di un grande amore (Viola) che non ha saputo vivere fino in fondo, anche per via della sua visione cinica dell’amore, per lui equazione impossibile da risolvere se non a costo della sofferenza. Vive a Roma e odia tutti: i turisti che invadono la città, svalutandone la bellezza, chi si diverte e chi vive la vita con entusiasmo e incoscienza. Oltre al rancore, l’unico sentimento energico che prova è l’incazzatura contro un mondo che va irrimediabilmente a rotoli, in cui niente ha valore, ma tutto ha un prezzo. Girolamo non si è realizzato nella vita perché non ha mai scelto, e difatti ogni volta che deve prendere una decisione cade in una narcolessia liberatoria:

‹‹Questa cosa lo turbava, ma al tempo stesso lo affascinava. Il fatto che, per una frazione di tempo, Girolamo smettesse di essere Girolamo. E il mondo, allo stesso tempo, smetteva di essere lì davanti a lui. Non c’erano più scelte da compiere, obblighi da assolvere, perché scattava un imperativo maggiore e ineludibile: il sonno.›› (p. 10)

Questo suo “apparato decisionale” atrofico gli ha impedito di vivere veramente: Girolamo non partecipa alla vita, ma la guarda dal di fuori. Legge i giornali e percepisce un senso di nausea, assieme al desiderio di rinchiudersi nell’indifferenza e nel mutismo; egli avverte l’assenza di un senso, non riesce a spiegarsi come il mondo si tenga insieme nonostante le sue infinite contraddizioni: più ci pensa e più non si raccapezza. Il mondo non è come un orologio i cui ingranaggi si incastrano perfettamente, ma in esso regna il caos, una ‹‹sbornia universale›› che si ripete uguale ogni giorno. Orfano di un senso, Girolamo è un disadattato, si sente un fantasma di sé stesso che vive alla fine della Storia. Cosa gli resta? Il rinchiudersi nel suo piccolo mondo, contemplando le occasioni mancate della vita e quelli oggetti rotti e insignificanti (vecchie porte, antenne della TV…) che ama fotografare e in cui forse un po’ si rivede.

Nel Taccuino Graziani traduce in cifra stilistica quell’interesse per il piccolo che era già presente in altri suoi lavori, come Atlante delle micronazioni (Quodlibet Compagnia Extra, 2015). La sua scrittura sembra muoversi in spazi minuscoli e trae storie dagli oggetti più piccoli: è semplice, ma non per questo facile. Il riferimento qui non può che essere Calvino, non solo perché Girolamo ricorda lo stralunato Palomar e il disagiato Marcovaldo, ma anche per la leggerezza con cui Graziani riesce a togliere il peso specifico alla gravità dei problemi affrontati, sfuggendo all’opacità del mondo. La semplicità dello stile rivela un genuino piacere nel raccontare, secondo una tonalità che Calvino stesso definiva ‹‹quella speciale modulazione lirica ed esistenziale tale che permette di contemplare il proprio dramma dal di fuori e dissolverlo in malinconia e ironia.››[1]

Il tema del piccolo è presente anche a livello formale: il Taccuino è infatti un romanzo quantistico che segue le assurde leggi del microcosmo, in cui il principio di identità e l’ordine del tempo sono spezzati. La costruzione si pone su due livelli: alla narrazione in terza persona dei brevi quadri che raccontano il mondo di Girolamo si affiancano degli intermezzi in prima persona in cui la vicenda assume quasi i toni di un giallo surreale. Ed è così che l’identità si sdoppia senza ricucirsi, l’Io si ritrova fuori sincrono con sé stesso perdendo la propria unicità e l’ordine dei ricordi, i quali smarriscono la linea del tempo e si affastellano nella mente senza alcuna logica. Come nella teoria delle stringhe, alla realtà si affianca una dimensione parallela che Graziani racconta con toni da tragicommedia: la burocrazia, quel mondo speculare fatto di carta che invece di mantenere il riferimento con la realtà tenta di fagocitarla, sostituendo all’Io in carne ed ossa un “Io certificato”. Essa contribuisce al caos del mondo e rappresenta l’ennesima impresa umana che culmina nel non-senso.

Nonostante il suo essere quasi una macchietta, Girolamo ha tutte le caratteristiche dell’uomo di oggi, rappresenta la voce di una generazione (forse ventenne negli ottimistici anni ’80) che ha perso ogni riferimento e ha risposto al disordine col cinismo e con il rancore. Girolamo incarna l’incapacità di uscire da sé stessi e la relativa perdita del senso di comunità con gli altri, insomma quella famigerata “condizione postmoderna” di cui tanto si è parlato e che altro non è se non una reclusione ideologica. Reclusione che ora, per uno strano scherzo del caso (o del destino), ci ritroviamo a vivere concretamente. Sarà questa l’occasione per riuscire a capirci finalmente qualcosa?

Giacomo De Rinaldis


[1] I. Calvino, Lezioni americane, Oscar Mondadori, Milano, 2005, pp. 24-25.

 

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