Pelle di mille bestie, Stephane Fert
(Tunué, 2020 – trad. Stefano Andrea Cresti)

C’erano una volta una giovane principessa, di cui da tempo si erano perse le tracce, e un principino che la cercava in lungo e in largo senza successo. Durante la sua ricerca, quest’ultimo cadde nella imboscata ordita da creature deformi in una foresta tetra e innevata. Il principino era scaltro e bravo con le parole, ma totalmente incapace all’uso della spada: chiunque lo avrebbe dato per spacciato. Tuttavia, le fiabe insegnano che il cammino degli eroi non è costellato solamente da avversari, ma anche da sporadici aiutanti (o falsi aiutanti). Fortunatamente per il principino, la sua avventura aveva luogo proprio all’interno di una fiaba: una fata giunse così in suo soccorso, e, in cambio di una giusta ricompensa, gli promise pure il sostegno per ritrovare l’amata scomparsa.
Così inizia Pelle di mille bestie, l’ultima pubblicazione del fumettista francese Stéphane Fert. Poco più di un anno fa parlammo della sua opera precedente, Morgana, per la quale aveva realizzato i disegni (la sceneggiatura era stata invece battuta da Simon Kansara). Morgana era la rivisitazione in chiave satirica delle leggende del ciclo arturiano bretone: un fumetto frizzante e per niente scontato, capace di coniugare in sé spirito epico e delizioso umorismo. Il tutto sorretto da un personaggio femminile di notevole caratura: Morgan le Fay, o Morgana. In questa sua ultima fatica Fert ripropone una architettura simile.
Nonostante non sia tratto da nessun racconto in particolare, l’intero fumetto innesta le sue radici proprio nella fiaba. I personaggi che ritroviamo all’interno della storia sono classici principi e principesse e re e streghe. Originali, senza dubbio – soprattutto per quanto riguarda il design – ma comunque impregnati di una essenza archetipica, che si sposa molto bene con lo slancio moderno che l’autore francese ha voluto donare alla storia. Inoltre, anche in questo caso (al pari di quanto già presente in Morgana) si osserva una particolare attenzione diretta verso i personaggi femminili, come la principessa Ronces e la fata Margot. Un’attenzione che non ripaga i risultati, purtroppo.
Ed è proprio lo sviluppo dei personaggi (nessuno escluso) il difetto principale dell’opera: i protagonisti oscillano tra incomprensibilità e anonimato. Ronces, nonostante sia l’elemento cardine dell’intera trama, risulta essere il più delle volte vittima degli eventi, una figura trascinata in qua e in là dal flusso del racconto senza dimostrare mai chi sia veramente (se non in una caotica chiosa finale). Lou, dal canto suo, è un individuo completamente dimenticabile, ma riesce – nel corso della narrazione – a impiegare qualche guizzo d’inventiva per cavarsi d’impaccio. Anche il cattivo della fiaba, il perfido re Lucanus, padre di Ronces, rivela presto tutte le sue banalità; eppure nelle prime pagine sembrava davvero un nemico accattivante, con tutte le sue scellerate perversioni.
Con il progredire delle vicende e l’avanzare dei personaggi vengono svelati tutti i difetti della fragile struttura del fumetto. La narrazione si espleta attraverso pagine generalmente costellate di numerose vignette dai contorni indefiniti. In generale, nonostante sia comunque scorrevole, risulta una lettura molto piatta, bidimensionale. In diverse occasioni la pagina viene sfruttata in maniera diversa e originale, e queste sono veramente apprezzabili: purtroppo, ciò non basta a risollevare il valore del progetto. Neanche gli splendidi disegni di Fert ne sono in grado.
Dal punto di vista visivo, Pelle di mille bestie è infatti delizioso: la mano del disegnatore francese restituisce figure più concrete, materiche, rispetto a quanto visto in Morgana; i volumi sono resi con maggiore pesantezza, nonostante le morbide pennellate digitali che li hanno ricavati. Fert sembra aver sposato un tratto più vaporoso e minimale: linee nette e dinamiche cedono il passo a contorni più sfocati, morbidi (senza però perdere carica propulsiva: non sono statici, tutt’altro).
La sensibilità cromatica del disegnatore francese si conferma ottima: ogni sequenza narrativa, ogni ambientazione ha la sua palette. Quindi le pagine sono dominate da colori freddi o caldi, da tinte lugubri e spente o accese e vivaci. Tutto ciò garantisce l’immersione nel racconto e il lettore è così circondato da emozioni che nascono proprio all’interno dell’occhio. Pregevoli sono anche alcune scene dal gusto onirico, in cui l’autore, spingendo al massimo la sua vena espressionista, realizza tavole che ricordano le opere di Gauguin, Van Gogh o quelle più famose di Klimt.
Ciononostante, Pelle di mille bestie rimane un fumetto dimenticabile, incapace di lasciare tracce dopo la lettura. Diamo a Cesare quel che è di Cesare: è una storia piacevole e dalle tonalità variegate. l’autore riesce anche a ricavare sensazioni svariate, in cui ironia e cupa brutalità si fondono insieme in maniera veramente efficace; si è capaci di sorridere leggendo una pagina particolarmente divertente e di inorridire di fronte al sangue versato nella pagina successiva. Eppure, proprio la scrittura dei personaggi risulta sbagliata (quantomeno a mio modesto parere): poco accattivanti, poco dinamici e invischiati in una trama che lascia loro poco spazio di espressione. La principessa Ronces sopra tutti: dovrebbe essere una eroina forte, ma appare come la solita damigella in difficoltà che deve essere salvata. È un gran peccato.
Francesco Biagioli