Un giallo argentino: “La morte arriva in ascensore”

La morte arriva in ascensore, María Angélica Bosco
(Rina Edizioni, 2021 – Trad. F. Bianchi)

Anche se poco conosciuta in Italia, María Angélica Bosco è stata una celebre autrice di gialli dell’America Latina. Nata nel 1909 e morta quasi centenaria, la sua letteratura va quindi inquadrata nello specifico contesto socio-culturale dell’Argentina di quegli anni, quando la rigidità dei ruoli di genere esercitava una forte pressione sociale sulle traiettorie di vita individuali. Nonostante la passione per la scrittura, Bosco ha rinunciato a lungo all’idea di dedicarvisi professionalmente per seguire la strada più tradizionale del matrimonio e della cura familiare in un elegante quartiere di Buenos Aires. La svolta è avvenuta quando, ormai prossima ai quarant’anni, la sua esistenza è stata stravolta da una nuova relazione e dalla separazione dal marito. Bosco si è ritrovata in una condizione di incertezza economica che l’ha costretta a reinventarsi da capo: è così che è tornata a dedicarsi alla scrittura, scoprendo la forza dell’indipendenza e dell’autosufficienza finanziaria.

Come ricorda Francesca Lazzarato nella postfazione all’edizione italiana, il genere in cui Bosco ha deciso di muoversi è un territorio tipicamente maschile, frequentato in Argentina anche da autori di grande rilievo. Eppure, il suo modo di approcciarsi al giallo, pur rimanendo molto fedele alle regole dell’indagine per deduzione, esula sotto alcuni aspetti dai dettami del genere.

La morte arriva in ascensore, il romanzo per cui ha vinto il premio Emecé nel 1954, è la sua prima opera tradotta in italiano. La casa editrice Rina Edizioni ha l’ambizioso progetto di far scoprire al nostro mercato letterario le opere mai tradotte di grandi scrittrici del passato, e María Angélica Bosco entra a pieno titolo nel suo interessante catalogo. A un primo impatto, il suo romanzo sembra assecondare le logiche più classiche del genere: una donna viene ritrovata morta nell’ascensore di un elegante palazzo di Buenos Aires. Il suo nome è Frida Eidinger e, come molti altri personaggi del romanzo, proviene dalla Germania post-nazista. Il caso parte con poche, solide premesse: la donna non doveva trovarsi dentro al palazzo, qualcuno l’ha avvelenata e gli inquilini sono tutti sospettati. Laddove però un giallo più tradizionale si sarebbe concentrato sul percorso che conduce gli ispettori alla risoluzione del caso, Bosco introduce tutto il complesso insieme di sentimenti, intrighi e relazioni che spezza il ritmo dell’indagine, pur muovendosi all’interno della sua cornice. I protagonisti non sono gli ispettori di polizia, ma i sospettati dell’omicidio.

Il caso non è seguito da un’unica figura cardine, come accade spesso nella tradizione giallistica, che vede al suo centro iconici detective alla Sherlock Holmes. Bosco si appoggia al più complesso insieme di dinamiche legate alla polizia, con sovraintendenti, ispettori, commissari, assistenti di commissari e tutto l’apparato istituzionale che rende difficile affezionarsi alle singole figure. Al contrario, gli inquilini sono delineati con ammirevole precisione, le loro personalità vibrano tra le pagine, avvolte dal dubbio costante che ciascuno di loro possa essere il colpevole.

Fin dall’inizio, Bosco tende al lettore gli ami di cinque lenze, tante quante sono le famiglie che abitano il palazzo, ciascuna delle quali nasconde segreti fuori e dentro i rispettivi ambienti domestici. C’è Pancho Soler, uno scapolo benestante e ingenuo; la complicata famiglia Iñarra, dove non si capisce chi voglia bene a chi; il duo dei fratelli Czerbò, lui losco e violento e lei debole e sottomessa; il Dottor Luchter, l’algido medico, e per finire il signore e la signora Torres, i portinai. «Un palazzo di gente tranquilla», come afferma uno dei sospettati.

Le contradizioni tra la facciata scintillante della classe agiata e il suo lato oscuro è un altro aspetto classico del giallo ambientato tra i quartieri della piccola-media borghesia. Meno comune è la tendenza a far filtrare nelle vicende private dei personaggi anche l’eco della Storia e della politica di un Paese. La presenza di personaggi provenienti dalla Germania non è affatto casuale, perché si respira l’aria dell’Argentina di Péron, dove avevano trovato rifugio molte figure compromesse dall’esperienza nazista. Anche se Bosco non cita mai direttamente i grandi fatti della Storia, un lettore contemporaneo non fatica a decifrarne le influenze.  

Alla luce di tutto ciò, chi ha ucciso quindi Frida Eidinger? Nonostante le sue particolarità, La morte arriva in ascensore rimane un giallo molto fedele alle logiche portanti del genere. Tutto quello che si scopre sulla vita e i segreti dei personaggi emerge nel corso delle indagini come diretta conseguenza del tentativo di trovare una risposta all’omicidio. I detective mettono a soqquadro le esistenze di tutti gli inquilini del palazzo perseguendo le piste del caso di Frida. Lo stile, per quanto curato, ruota intorno all’uso dei dialoghi e si sofferma poco sulle azioni e sui sentimenti dei personaggi. Il ritmo pulsante non lascia molto spazio all’introspezione, mentre la ricerca del colpo di scena, anche se non appare forzata, diventa quasi un obbligo. Non c’è mai un momento nel corso della narrazione in cui al lettore è lasciato il modo di distrarsi dalle indagini, le quali vengono solo arricchite dalle storie e dalle personalità degli inquilini.

Per questo motivo, La morte arriva in ascensore è un romanzo che può piacere prevalentemente a chi si sente a suo agio con il genere, e che quindi sarebbe in grado di apprezzare meglio le particolarità che lo contraddistinguono.

Anja Boato

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