Non muoiono le api, Natalia Guerrieri
(Moscabianca Edizioni, 2021)
«Dicono che i ricordi con il tempo non diventino altro che fantasie. Immagini aggiustate dalla nostra volontà inconscia, limate per concordare con le nostre convinzioni. Ma il ricordo che ho di mia madre, della nostra vita qui, è tutto ciò che mi resta di una vita finita per sempre.»
L’ambientazione di Non muoiono le api è un complesso mondo distopico, in cui un sistema tecnologico totalizzante, chiamato “Nuvola”, regola automaticamente ogni aspetto della vita dei suoi cittadini. Dalla temperatura dei condizionatori agli appuntamenti di lavoro, dai motori delle auto ai pasti da preparare e ordinare: al sistema di Nuvola è affidato ogni cosa, persino l’ingombrante fardello dell’eredità del nostro passato. Non sono più gli individui a ricordare la Storia, infatti, perché non ce n’è più bisogno: se serve qualche dato da sapere, basta digitarlo sul motore di ricerca di Nuvola, che però non funziona come un archivio fisico, e censura dettagli importanti e fatti di cronaca considerati disturbanti o spiacevoli. Nuvola è una bolla virtuale, che protegge la sua comunità dalle realtà cruente e scomode.
O almeno finché, un bel giorno, un attentato terroristico colpisce la popolazione lì dove si sentiva più forte e al sicuro: all’interno delle proprie case perfettamente automatizzate. Nuvola smette di funzionare, e a seguito di un colpo di stato, l’atmosfera gioviale della città di M (probabilmente ispirata a Modena) si trasforma repentinamente in un panorama post-apocalittico. Anna, sua figlia Andrea e Leonard, un giornalista figlio di un ministro, sono costretti a misurarsi improvvisamente in una realtà nuova e terribile, da cui fino a quel momento Nuvola li aveva protetti.
Anna viene arruolata nei campi di addestramento per una guerra che in realtà non esiste, che ha l’unico scopo di produrre una colonia di schiavi, mentre sua figlia è nascosta a casa, con sua nonna, e cerca di sopravvivere alla fame e all’inverno. Leonard non usciva dalla suite del padre da quattro anni, quando perde i contatti con il suo ragazzo, Kaleb, e mentre affronta i pericoli del mondo esterno nella sua disperata ricerca annota i tragici avvenimenti di cui è testimone.
Ogni personaggio è mosso da un obiettivo – quello di ristabilire il proprio passato, di ritornare al mondo di prima, di salvare e riabbracciare i propri cari: Anna escogita ogni giorno piani improbabili per raggiungere suo marito e tornare da sua figlia, Andrea sogna il ritorno dei propri genitori e Leonard è costantemente sulle tracce di Kaleb. Ma il futuro che li attende non sarà come se lo immaginavano, e ognuno dovrà fare i conti con i limiti della propria condizione. Il mondo è cambiato per sempre e, per quanto loro possano desiderarlo, non sarà mai più lo stesso.
Dopotutto, quelle che vivono sono le terribili conseguenze di un sistema di vita insostenibile, che loro stessi hanno contribuito ad alimentare in silenzio (a eccezione di Andrea che, ancora bambina, subisce le colpe dei propri genitori). Anche se cercavano di ignorarlo, il loro stile di vita, nel comodo delle loro case automatizzate, veniva perpetrato ai danni dell’ecosistema, ormai vicino al collasso, e ai danni delle classi sociali più basse, svantaggiate e private dei loro diritti. La delega delle scelte, da quelle quotidiane a quelle morali, da cosa mangiare a cosa ricordare, ha un prezzo implicito e ben nascosto, come le clausole di un contratto con Mefistofele. Eppure i protagonisti sono personaggi positivi, che subiscono penitenze atroci e ingiuste, anche se per uno stile di vita scorretto. Stile di vita che, almeno in parte, condividiamo, per lo stampo capitalista della società in cui viviamo, nonostante talvolta lo dimentichiamo. Il romanzo ci ricorda che, inevitabilmente, la mancanza di consapevolezza non può che portare alla caduta della civiltà.
Natalia Guerrieri ha lavorato in passato come sceneggiatrice, e questo si riflette nel suo modo di scrivere: il romanzo ha uno stile economico, composto per lo più da frasi brevi e semplici, dal significato diretto e conciso; spesso la narrazione procede per immagini, proprio come il linguaggio cinematografico. La descrizione oggettiva dell’ambiente però ogni tanto penalizza la personalizzazione dei protagonisti, che raccontano tutti in prima persona; questo indubbiamente non vale per Andrea, probabilmente il personaggio più curato, grazie al quale riusciamo a tutti gli effetti a vedere il mondo attraverso gli occhi di una bambina di cinque anni.
Le sue reazioni emotive al mondo in frantumi che la circonda sono realistiche anche e soprattutto nei delicati momenti di metabolizzazione psicologica del trauma. Costretta a separarsi dai genitori, questo è un esempio dei pensieri che la attraversano: «Chiudo la porta. Mi metto sul letto e mi sdraio. Faccio finta che non è successo quello che c’è adesso. Faccio finta che io sono nella mia camera come prima, che nella casa ci sono il papà e la mamma. Che Leja non c’è. Dietro la porta ci può essere quello che voglio, perché non lo vedo».
Anche i personaggi secondari sono ben caratterizzati: l’esempio più brillante è sicuramente Leja, una mamma che ha perso il bambino e a cui Andrea e sua nonna decidono di dare asilo in cambio di provvigioni. La sua è una figura ambigua, in lei lotta l’istinto materno nei confronti di Andrea, che le ricorda il bambino che ha perso, e l’istinto di sopravvivenza, che la spinge, nonostante il senso di colpa, a compiere azioni che mettono in serio pericolo la bambina. La sua parabola ricorda la celebre citazione di George Orwell: “davanti al dolore non ci sono eroi”.
In condizione diverse, Leja non si sarebbe mai comportata così. La tragedia sta proprio in questo: la paura, l’angoscia, il clima di terrore cambiano irreversibilmente le persone e le spingono a compiere azioni che altrimenti non compierebbero mai, mostrano parti delle loro identità che non sarebbero mai emerse.
Nella crudezza di queste scene di violenza, in cui si alternano campi di concentramento, esperimenti biologici, torture e schiavismo, ciò che più sconvolge è il contrasto disarmante con la tenerezza dei momenti di intimità familiare. Le luci, i fantasmi delle persone care, che si manifestano nei momenti più bui dei protagonisti, non sono altro che questo: l’amore che diventa ancora più forte nei momenti di crisi. Un abbraccio, una carezza sulla testa, una voce affettuosa che ripete, nonostante la tempesta: “va tutto bene, va tutto bene.”
Davide Lunerti