Il silenzio immobile prima della tempesta: la saga dei Barrøy


Gli invisibili. Saga dei Barrøy, Roy Jacobsen
(Iperborea, 2022 – Trad. M. V. D’Avino)

Gli invisibiliUna piccola isola al largo della costa norvegese, preda delle lunghe notti invernali, delle maree dell’oceano e del vento, non è esattamente quanto di più stabile e sicuro uno possa immaginare. Barrøy è così, un’isola a sud dell’arcipelago Lofoten di proprietà di un’unica famiglia, con la quale condivide il nome. Da una piccola porzione di terra emersa è facile partire per noia, con l’amarezza nei confronti di un luogo che può offrire soltanto un tempo ciclico e perenne, sempre uguale a sé stesso nelle mansioni stagionali. Eppure, è ancora più facile tornare, perché da lontano si vede che Barrøy non è per nulla in balia delle onde, è un baluardo contrapposto alla grandezza dell’oceano, «saldo ed eterno», e perché «un’isola trattiene quello che ha, con tutte le sue forze».

«Nessuno può lasciare un’isola, un’isola è un cosmo in miniatura, dove le stelle dormono nell’erba sotto la neve».

Nei primi decenni del ‘900 gli isolani sono solo cinque: il nonno Martin, i suoi figli Barbro e Hans, Maria, la moglie di Hans, e Ingrid, la loro bambina, che ha tre anni. A Barrøy vivono anche diversi animali, selvatici e allevati: pecore, un cavallo, gabbiani, edredoni che, per parte dell’anno, vivono in simbiosi con la famiglia, una gatta. Le loro barche, unico tramite con le altre isole e la terraferma, sono soltanto a vela, e così resteranno. Ogni anno, da gennaio ad aprile, Hans parte verso le isole Lofoten con il fratello maggiore, che abita su un’altra isola, per pescare. Le donne, rimaste a casa, cavano la torba per tenere le stufe accese, si occupano delle pecore, preparano da mangiare. L’isola sembra essere autosufficiente, se non fosse che la scuola è sulla terraferma, così come le occasioni di commercio. «Il denaro [è] il più deprimente tra i legami che li tiene ormeggiati alla terraferma».

Fin da quando è bambina, a Ingrid è chiaro quali sono i compiti dei diversi membri della famiglia: sua madre pulisce le piume di edredone e ne raccoglie le uova, si occupa della cucina e prepara confetture di rabarbaro, Barbro accende la stufa e tesse le reti da pesca, suo padre e suo nonno sono sempre impegnati in progetti edili: un capanno per le barche, una vasca che raccolga l’acqua piovana, un pozzo. Lei a tre anni sa già come sfilettare e pulire un merluzzo appena pescato. È suo padre che glielo insegna, così come le insegna a non aver paura del mare, anche quando è in tempesta, perché le isole non affondano mai.

È raro che degli estranei approdino a Barrøy, quando lo fanno è per uno degli eventi che scandiscono la vita: un battesimo, un matrimonio, un funerale. Un giorno, però, un galeotto fuggito da prigione giunge sull’isola e tenta di insediarvisi. Il suo arrivo, inaspettato e impossibile da evitare, contribuisce al senso di inquietudine che permea il romanzo. Non si possono ergere muri intorno ad un’isola, dunque chiunque può approdarvi. La famiglia si sente privata della sua sicurezza, se le intemperie non avevano mai minacciato la loro vita, lo fa l’arrivo di un uomo. Anche la Storia lambisce appena le coste di Barrøy, quando un gruppo di svedesi espatriati per via della Prima Guerra Mondiale raggiunge quelle terre della Norvegia settentrionale.

Durante tutto il romanzo si percepisce un’immobilità innaturale: per secoli la vita degli isolani è stata uguale a sé stessa, di generazione in generazione, ma questa costanza sembra giunta ad una fine. È l’immobilità senza suono dei minuti prima che si scateni la tempesta, la sensazione che le cose stiano per cambiare irrimediabilmente. Inizialmente sembra che, finché verranno eseguite quelle mansioni cicliche e identiche, la sopravvivenza della famiglia sarà garantita. Ma anche per la famiglia Barrøy arriverà il cambiamento: il termine post quem coincide con l’ultimazione del molo da parte di Hans. Da quel momento sembra iniziare una nuova epoca, moderna e con novità prima impensabili. Come il fallimento dello Stabilimento sulla terraferma, che comprava i merluzzi pescati dagli abitanti delle isole, un faro su Barrøy, ora sulla rotta della barca che ritira i secchi di latte per rivenderli a terra, il cambiamento dell’assetto familiare.

Gli invisibili racconta la vita delle persone di mare a inizio ‘900, il loro carattere schivo e guardingo, la loro tendenza a non parlare di sé e delle questioni che li turbano. La monotonia e l’immobilità delle vite dei Barrøy hanno inevitabilmente un impatto sul ritmo della narrazione, che diventa più incalzante una volta oltrepassata la metà del romanzo, quando alcuni avvenimenti che toccano i componenti della famiglia rendono necessario un cambiamento delle carte in tavola.

Jacobsen costruisce un romanzo sulla pura narrazione del quotidiano, senza aggiungere lirismo al lavoro manuale della famiglia Barrøy, focalizzandosi maggiormente sulla descrizione delle loro azioni, piuttosto che su pensieri o emozioni, che trapelano da sguardi o da un mancato gesto, una dimenticanza nelle abitudini raccontate nei particolari. Occupano grande spazio la conoscenza dei fenomeni meteorologici, come la nebbia, la tempesta, la furia dell’oceano e del vento che strappa via anche le costruzioni più stabili se non sono state posizionate sul corretto asse. Vivere su una piccola isola “unifamiliare” fornisce l’apprendimento necessario per poter perpetuare l’esistenza della famiglia stessa sull’isola.

Con lo stile asciutto ed essenziale di molti autori scandinavi, Jacobsen racconta la storia di poco più di due generazioni, quella di Hans, Barbro e Maria e quella di Ingrid. L’intero romanzo, il primo della quadrilogia della saga dei Barrøy, si estende su una quindicina di anni. La scelta dell’autore di lasciar trapelare gli stati d’animo dei personaggi soltanto attraverso la descrizione dei loro comportamenti mostra la sua abilità di mimesi con i personaggi stessi, lasciando diversi spunti narrativi alla sola immaginazione del lettore, questioni che, forse, verranno riprese nei capitoli successivi della saga. I non detti della famiglia di isolani sono gli stessi misteri che incontra il lettore e che non vengono svelati mai. Jacobsen crea così una complicità con i Barrøy e lascia al lettore la possibilità di intuirne i pensieri.

L’occhio imparziale dell’autore presenta i suoi personaggi come se li vedesse da lontano, dal cannocchiale che gli uomini della famiglia si tramandano da generazioni, senza sapere esattamente da dove arrivi e senza sapere esattamente che cosa farsene. È uno sguardo che, pur essendo onnisciente, non svela, ma si limita a descrivere la vita che, in questo modo, risulta logorante e ripetitiva, come capirà Ingrid quando crescerà. L’impressione che ne deriva è che i Barrøy siano invisibili perché visti da una grande distanza, immobili perché in simbiosi con una terra che, per non farsi trascinare via dalla furia dell’oceano, deve stare attenta a stare saldamente ferma.

Eleonora Mander

Foto in evidenza di stein egil liland da Pexels

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