Diventare grandi è un gran uarlobao

Il Tullio e l’Eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, Davide Rigiani
(minimum fax, 2022)

Se scrivere una recensione è un lavoro critico e analitico, allora l’esordio di Davide Rigiani è un romanzo impossibile da recensire: Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino è un oggetto vivo, che si ribella ostinatamente a ogni indagine metodica e ponderata come un paziente irrequieto sul lettino di uno psicoanalista.

È la storia del Tullio (sempre chiamato con l’articolo determinativo, come tutti gli altri personaggi), un bambino di dieci anni che vive con la famiglia in Val Colla, nel Canton Ticino. L’immaginazione del Tullio è smisurata e prodigiosa, tanto che il suo cervello è abitato da piante carnivore, sirene, frigoriferi parlanti, scrittori di best seller, tennisti famosi, orgogliosi cavalieri medievali e piloti di trottocotteri da corsa. Questa  allegra e affiatata comunità affolla diversi condomini mentali e diventa protagonista di articolate peripezie che, pur partendo dalle reali vicende del Tullio, spesso e volentieri deragliano in direzioni impreviste.

Il ragazzino, temendo che questa fantasia ipertrofica possa esporlo al giudizio altrui, cerca di non lasciarla trapelare all’esterno e fa di tutto per passare inosservato, soprattutto a scuola; ma presto arriverà il giorno in cui questo non sarà più possibile, in cui dovrà smettere di vergognarsi della sua stranezza, ma al contrario abbracciarla, assecondarla e accettare il suo potere di influire sul reale. Questo succede quando il Tullio trova nel giardino di casa un animale stranissimo, che all’inizio si presenta come una sorta di bruco delle dimensioni di un pony, ma che nel corso della storia si chiuderà in una crisalide, verrà gonfiato, sgonfiato, sbucciato, aspirato, cambiando ogni volta forma, colore e taglia. Si tratta di un eolao, come spiegherà la dottoressa Kohlkapfer, squinternata fantaveterinaria, e dopo qualche esitazione viene accolto come animale domestico nella famiglia del Tullio.

Il bambino e l’eolao, legati da un’intesa immediata e fortissima, diventano inseparabili e vivono peripezie sempre più folli –folli ma anche estremamente quotidiane, perché inserite in una cornice sociale molto precisa, quella del Canton Ticino con tutti i suoi automatismi e le sue idiosincrasie. L’eolao non è solo una creatura smodatamente bizzarra, che si ciba di dentifricio e perde le orecchie quando starnutisce: agisce anche sulla realtà circostante, e lo fa in maniera prepotente, scardinando convenzioni ingessate e pigre, restituendo coraggio a esistenze rassegnate, spazzando via l’ordine e la consequenzialità logica lungo il suo cammino.

Quando si parla di letteratura per l’infanzia, ormai è diventata consuetudine usare frasi come lo ameranno anche gli adulti che non hanno dimenticato il bambino dentro di loro. Si tratta spesso di una retorica un po’ trita, proprio quel tipo di retorica a cui il romanzo di Rigiani si ribella: questo è, semplicemente, un romanzo che parla con uguale intensità agli adulti e ai ragazzini. È un testo profondamente letterario, pieno di sperimentalismo intelligentissimo (non ha caso ha ricevuto la Menzione del Direttivo alla XXXIII edizione del Premio Calvino); ma è anche un libro che non si prende sul serio, che fa ridere ad alta voce e che si ama con la pancia, prima che con la testa. A titolo di esempio, queste sono le creazioni dal padre del Tullio, un poeta avanguardista che per arrotondare traduce manuali di istruzioni di elettrodomestici:

«Senza por tempo in mezzo», scriveva per esempio, «tosto colloca giustappunto l’apposito filtro antipolvere nella scanalatura a L come Libertà». Cose del genere. Oppure, quand’era dell’umore e magari la traduzione si prestava, componeva cose più futuriste. «Infila la presa, schiaccia su Start. Pim pum pam. Zac! Gira, svita e ruota. Oibò, orsù, suvvia. Sboing! Urrà! »

Non sempre lo pagavano. [pag. 14]

Nel romanzo troviamo anche labirinti più intricati di quelli di Inception, come quando vediamo battibeccare le personificazioni delle facoltà mentali di una poliziotta che sta per baciare un collega in un romanzo letto sulla spiaggia dalla sirena Marialaura, la quale altri non è che una degli abitanti della fantasia del Tullio. E tutto questo non è un semplice esercizio di equilibrismo –anzi, culmina in un paragrafo che contiene più verità di mille commedie romantiche. 

Il romanzo affronta anche temi di notevole complessità, come il rapporto tra il pensiero e il linguaggio, ma lo fa con un piglio per niente astratto o accademico: la riflessione si scioglie nel gusto della narrazione e dell’invenzione, e culmina in una sfrenata ribellione contro ogni forma di pigrizia linguistica. Questo è chiaramente un tema caro all’autore: lo stile del romanzo, infatti, è pieno di guizzi e di sorprese continue. È come se nessuna parola potesse essere data per scontata, come se tutte dovessero essere capovolte, guardate di traverso, esplorate in tutti i loro possibili significati.

In mezzo a tutta questa sfrenata e divertentissima inventiva, comunque, Rigiani lancia sul mondo uno sguardo penetrante e per niente ingenuo. Pur prendendo in giro tutte le assurdità e le contraddizioni della vita adulta e borghese, l’autore non cade nel facile cliché di affermare la superiorità morale dei bambini sui grandi. Al contrario, il romanzo è attraversato da un certo affetto per la resilienza di alcuni adulti che si barcamenano alla meglio tra le seccature e le tempeste della vita. Il cuore della storia, d’altra parte, è proprio la fatica di crescere, di accettare se stessi, di trovare un posto nel mondo senza tradire ciò che si è.

Il Tullio si trova in un momento di confusione e di passaggio, al confine tra l’infanzia e la preadolescenza; e Rigiani dimostra una grande sensibilità nel raccontare il momento in cui, nella testa di un ragazzino, si affacciano per la prima volta emozioni buie come l’ansia del fallimento, l’incertezza del futuro, la nozione che nella vita non tutto è riparabile o emendabile. L’insorgere di paure e sentimenti sconosciuti porta necessariamente a una deflagrazione, da cui però potranno nascere un nuovo equilibrio e una nuova identità. Questo percorso burrascoso è raccontato nel libro con metafore di grande originalità e intensità.

Volendo trovare un neo in questo romanzo travolgente, ci si potrebbe forse chiedere se davvero fossero necessarie 469 pagine per dipanare una trama poco coesa, che indugia su numerosi episodi autoconclusivi e che si addensa solo verso la fine. Anche questa scelta, però, è perfettamente coerente con lo spirito del romanzo, che è debordante, insofferente alla misura e alle regole strutturali. Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino è un romanzo da leggere assecondando il caos, non cercando di sbrogliarlo: ci ricorda che quando si scrive non bisogna avere vergogna né ritegno, e di questo abbiamo un grande bisogno.

Benedetta Galli

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