La saga di Kormákr
(Edizioni dell’Orso, 2021 – a cura di Silvia Cosimini)
Quando si tratta di letteratura scandinava, il termine ‘saga’ non ha il significato che siamo soliti attribuirgli in italiano. Infatti, in area nordica le saghe – la cui etimologia rimanda al verbo antico-islandese at segja “parlare”, “narrare” – sono narrazioni in prosa, di cui tematiche, contenuti e caratteristiche sono tanto variabili da spingere gli studiosi a ipotizzare l’esistenza di numerose sottocategorie dell’“ur-genere” nel tentativo di classificarle; tentativo, questo, destinato a non andare sempre a buon fine, sfuggendo facilmente le saghe a etichette ben definite e prive di ambiguità.
La stessa origine del genere non è chiara, così come resta incerta l’entità del debito che esso avrebbe nei confronti della tradizione orale; quello che è certo è che le saghe sono un prodotto eccezionale del Medioevo europeo e una creazione del tutto peculiare del curioso ‘laboratorio’ socio-storico-culturale che fu l’Islanda nei secc. IX-XIII. Primi esempi del genere letterario del romanzo secondo Borges, le saghe offrono tra le trame della vicenda particolare narrata un più generale quadro di informazioni sulla società islandese del tempo, sulle sue leggi, le sue usanze, i costumi; oltre a mostrarci le contraddizioni e il pacifico sincretismo di una comunità che, ufficialmente cristiana dal 1000, continuava tuttavia a vitalizzare privatamente riti e credenze pagane.
È tenendo presente questo contesto che va letta la Saga di Kormákr (Kormáks saga in norreno). Considerata dalla critica parte del sottogruppo delle “Saghe degli islandesi”, ha avuto meno fortuna di altre, forse per le allusioni erotiche e le offese recate alla famiglia della donna amata dal protagonista, o forse per vicende legate alla sua redazione. Confluiscono infatti nella narrazione almeno due autori e due livelli temporali: un raffinatissimo poeta di corte, lo scaldo Kormákr, che al tempo della messa per iscritto del suo corpus lirico era già leggendario, e un redattore che ha dato ai versi del primo una cornice in prosa, mettendo assieme gli aneddoti tramandati sulla vita del poeta e legando gli episodi narrati dalle strofe liriche.
La storia, curata e tradotta per la prima volta in italiano da Silvia Cosimini (di cui una breve presentazione è disponibile qui, in occasione di una sua precedente comparsa sul Rifugio) è quella dell’amore infelice tra Kormákr, poeta islandese del sec. X di origini celtiche e dai capelli corvini, e Steingerðr, una giovane donna che lo seduce inconsapevolmente con la sola visione delle sue caviglie nude: sulla loro unione incombono l‘interdizione del diverso rango sociale e la maledizione di una strega.
I due si rincorrono, si cercano, si allontanano, invecchiano; sono le uniche stelle fisse in un cielo di luoghi, persone, avvenimenti in continuo mutamento. L‘incastro di prosa e lirica, nel racconto della vita di un poeta, suona particolarmente appropriato, così come il casuale prendere la parola dei personaggi secondari per intonare versi in alcuni frangenti di quotidianità restituisce la suggestione di una civiltà colta, abituata a conservare oralmente tradizioni antiche e raffinate. Forte è il richiamo ai vincoli sociali, di sangue e di lealtà, che in una piccola comunità come quella islandese del tempo fanno tutta la differenza, e ai retaggi di un mondo di vincoli magici, nell’accezione più antica di “magia” come legami in un universo in cui tutto è interconnesso, in modi che solo pochi padroneggiano.
La ricca introduzione di Cosimini provvede anche al lettore più ignaro tutto quello che occorre sapere per comprendere il testo, oltre a informazioni sulla tradizione manoscritta e altre notizie di carattere squisitamente filologico ma per niente pedanti, con tocco finale di gossip vittoriani gentilmente offerti dal contributo del Prof. Alessandro Zironi.
“Oggi nella brezza della gigantessa / mi coglie una forte passione: / poco fa la fanciulla / mi ha mostrato le caviglie. / I piedi della Gerðr velata / saranno la mia rovina / spesso; e io niente / di niente capisco delle donne.” (p. 43)
Una caratteristica significativa e ricorrente nei versi ‘scaldici’, anima e colonna portante della Saga di Kormákr, sono le kenningar (per un approfondimento su kenningar e poesia scaldica si veda qui), dalle più semplici alle più articolate: espressioni che indicano un referente altro tramite combinazioni insolite di termini a esso non direttamente correlati, tipicamente costruiti come coppia di parola più suo determinante. La traduttrice ha scelto di lasciarli così come sono nei versi, fornendo nelle note il contesto mitologico o le spiegazioni linguistiche necessarie alla loro decodificazione; dopo un po’ che si è immersi nella lettura, si prende la mano con il meccanismo e diventa intuitivo capire almeno i referenti criptici più comuni (il “vento degli scudi”, la battaglia; il “fuoco del mare”, la “fiamma della mano”, l’oro).
La saga di Kormákr – duelli all’ultimo sangue e magia a parte – al di là dell’interesse per la letteratura islandese medievale e per la filologia germanica, è la storia di un’esperienza che tutti possiamo condividere, quella di un amore giovanile perfetto e mai consumato, la scintilla a cui ripensiamo negli anni dopo altre storie e altri amori e altre esperienze, il continuo rimuginìo degli “e se” e l’orgoglio testardo di non voler dare una seconda possibilità quando si è stati feriti, a prescindere da quali siano state le ragioni.
Alessia Angelini