Come muoversi fra le cattività domestiche

Le cattività domestiche, Giorgio Ghiotti
(FVE editori, 2022
)

Non è facile trovare raccolte di racconti che, oltre il minimo e naturale grado di continuità fra i testi (di tematiche, di linguaggio e in questo caso di contesto), risultino in piena connessione. I racconti di Giorgio Ghiotti, raccolti nel volume Le cattività domestiche, sembrano invece scambiarsi il testimone della tensione narrativa, sebbene ogni “capitolo” sia inquadrabile ed estraibile dal contesto. Le cattività domestiche non è però un “romanzo di racconti”, piuttosto è la testimonianza che la traccia dell’autore, la sua predisposizione allo sguardo e alla restituzione scritta, può manifestarsi attraverso diverse fotografie, quadri di una stessa installazione. 

Al di là degli ultimi racconti della raccolta, in cui la stessa famiglia viene investita da più vicende e i caratteri più significativi di alcuni personaggi (la nonna, il padre Lente, ad esempio) vengono scandagliati da sguardi diversi ma complementari dell’autore, le vicende si muovono indipendentemente: si svolgono in città diverse, con riferimenti culturali variegati e mai ripetitivi. Tutti, però, sembrano avere a che fare con una questione: i ricordi. Ogni racconto è imbastito sui ricordi, si innerva della loro rielaborazione e offre – attraverso i personaggi – un’analisi costante dei loro riflessi presenti su chi scrive, quasi sempre una prima persona singolare. 

Nessuno è al riparo dalla manomissione operata da una persona che ha amato. E tanto più grande è stato l’amore, tanto più deformerà il ricordo. Per questo dubito che oggi, se incontrassi per strada i due ragazzi sui quali eressi la mia idea d’amore nella mia radiosa e franosa adolescenza, saprei riconoscerli. […] Si meravigliavano alcuni (miei amici, amici del mio nuovo amore, conoscenti) che parlassi dei miei due cari fantasmi con tutta quella adorazione. Con devozione e intatto, immutato ardore. Un grande amore presente non allontana né sminuisce un grande amore passato. (pp. 78-79)

In tutti i racconti i ricordi si riaffacciano al presente per mezzo di una riscrittura operata dal narratore, come se – di fatto – i ricordi non esistessero se non grazie al fatto che ogni volta li riscriviamo e li rendiamo nuovamente cosa viva. Il destino dei pesci (una lunga lettera a Daria, la cugina di chi scrive che ha deciso di non trascorrere più la Pasqua in compagnia di una famiglia numerosa e ingombrante) è sia il racconto di cosa è accaduto a quel pranzo che lei ha mancato e la riemersione di ciò che è stato, di tutti quei nodi che hanno condotto Daria a prendere una decisione, perché – come scrive alla fine del racconto il cugino narratore: 

Poi ho pensato anche che è vero quello che diceva nostra nonna, che bisogna tenersi stretti i ricordi felici; ma che pure quelli infelici fanno massa, riempiono i giorni e vanno tenuti cari, non fosse che per provare a rovesciarli. (p. 56)

L’operazione genealogica dei racconti, in alcuni momenti, si trasferisce in modo funzionale e ben architettato al livello del corpo. La sessualità infatti (in maniera più evidente ad esempio in L’appuntamento o L’estate dei cinghiali) è un topos che l’autore avvicina senza mai farne il centro della narrazione, ma quando lo fa questa assume una interessante curvatura e si salda con l’idea che il corpo sia l’elemento che “tiene” i ricordi, riporta le tracce delle battaglie combattute prendendosene cura, riportando a un grado epidermico i ricordi e la storia della propria pelle. Il corpo, come la scrittura, come riesumazione di ciò che è stato. 

In prima media ci accorgemmo tutti di possedere un corpo, e se pure confusamente iniziammo a intuire che il nostro corpo avrebbe potuto essere più di quello che era stato fino ad allora: un oggetto potente e ambiguo, la proiezione di ogni desiderio di vita e di morte. Non possedevo ancora le parole esatte per dire quello che mi è stato chiaro da subito: le battaglie più importanti della nostra vita vengono combattute sul corpo. (pp. 111-112)

La scrittura di Ghiotti è ben articolata, variegata: alterna felicemente periodi lunghi ed esplicativi a brevi incisi ipotattici che segnalano una evidenza, come un nodo nel legno. Il linguaggio è asciutto e concentrato ma mai banale. Tutto si disvela in maniera consequenziale e spesso i racconti contengono deviazioni decise della narrazione, salvo poi incrociarsi efficacemente con la strada abbandonata in precedenza. I riferimenti sono sempre chiari e mai spiegati permettendo così al lettore di seguire la traccia e immaginare, costruendosi un’idea e un’immagine proprie di quello che sta accadendo. 


Senza dubbio, però, il momento migliore dell’intera raccolta è l’ultima sezione, la terza. La famiglia descritta in quei racconti, alle prese con tre vicende e personaggi interessanti che le gravitano intorno, sembra il ritratto di una famiglia sorrentiniana: una nonna pittrice novantasettenne che cerca disperatamente di suicidarsi; la comparsa di animali – in questo caso cinghiali – che svolgono un ruolo da comprimari insieme agli umani; la bella e sensuale Marilena che ha un effetto catartico sul narratore, all’epoca diciottenne; il padre Lente che è ancora in lotta (una lotta ideale, mai davvero combattuta) con l’imprenditore che ha acquistato il lanificio nel quale lavorava. L’incastro di personaggi assurdi e complicità non volute restituisce una fragilità di fondo che non fa crollare tutto grazie a un miracolo compiuto da non si sa chi. A volte la storia dei rapporti umani, delle famiglie, delle cattività domestiche, è ripiegata in questo miracolo apparente su cui la scrittura di Giorgio Ghiotti ha posto una luce interessante e viva.

Saverio Mariani

Foto di Manuel Sardo su Unsplash

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