“Uno in diviso”, un esperimento filosofico

Uno in diviso, Alcide Pierantozzi
(Bompiani, 2022)

«No, non ci sono mai piaciute le cose belle. Io, Taiwo, per noi due la bellezza era una: quella. Quel ribrezzo, quella porcheria, quella ripugnanza.»  

Uno in diviso – il romanzo che ha segnato l’esordio di Alcide Pietrantozzi – è un libro che ha già assunto diverse forme e vissuto diverse vite. Uscito per la prima volta nel 2006 per Hacca edizioni, e trasposto nel 2013 in una graphic novel per la casa editrice Tunuè, torna oggi in libreria in una nuova edizione tascabile per Bompiani.  

Nonostante sia passato del tempo dalla prima pubblicazione, Uno in diviso mantiene intatta la sua natura disturbante. Al centro della trama ci sono Kehinde e Taiwo, due gemelli siamesi perennemente uniti dalla vita in giù, a formare una ypsilon umana. Il loro modo di vivere è quello tipico dei reietti, ma la loro solitudine non è mai completa, visto che si trovano costantemente in compagnia l’uno del l’altro.

I due (o l’Uno) si guadagnano un magro stipendio in uno squallido hotel per incontri, un luogo che si allinea perfettamente con il loro gusto per le cose raccapriccianti. Al di là del bancone della reception, i fratelli si nascondono dagli sguardi indiscreti dei loschi clienti, fingendo di essere due persone distinte; l’aspetto respingente dei protagonisti non è però la cosa di cui il mondo esterno – e il lettore – dovrebbe preoccuparsi di più. Ciò che rende questo romanzo “ripugnante” è in realtà la ricerca di un personalissimo senso di bellezza – una bellezza totalmente distante dal senso comune – che porterà Kehinde e Taiwo a compiere una lunga serie di efferatezze, compiendo una vera a propria discesa negli inferi.  

La stessa struttura di Uno in diviso è studiata per essere un viaggio infernale: la prima parte del libro (Uno) è a sua volta divisa in due sezioni, antinferno e inferno; mente la seconda (Diviso) si srotola attraverso vari gironi, fino ad arrivare all’antipurgatorio. Man mano che la narrazione procede, i due fratelli si spogliano progressivamente di ogni moralità, compiendo di volta in volta azioni e crimini sempre più estremi.  

La lunga serie di scene raccapriccianti prende in realtà le mosse da un dialogo tra i due gemelli, a proposito dell’esistenza di Dio. Kehinde, che sembra assumere il ruolo del fratello “buono”, è fermamente convinto dell’esistenza di Dio, mentre Taiwo, il lato oscuro della ypsilon, cerca di scardinare la fede del fratello («Se tu sostieni che solo per il fatto che dico dio, che penso dio, ci credo, ti sussurro la parola Pantàfaga e ti spiego anche che, per l’esattezza, mi riferisco a una mostruosità notturna che si adagia sul grembo dei dormienti. Ora tu la stai pensando. Dunque ci credi?», pag. 79-80). La conversazione si sposta poi su un altro argomento centrale, ovvero quello dell’aborto, e le prospettive dei due fratelli su questo punto sembrano rispecchiare i loro ruoli: il “buono” considera l’aborto come un atto contro Dio, mentre il “cattivo” rivendica di considerare l’aborto come un omicidio, ma non per questo di condannarlo («Omicidio. Esatto. Io, come tu ben sai, sono favorevole all’omicidio. L’omicidio è l’orlo più estremo di quel fazzoletto sporco che è il sentimento umano.» p.97)  

L’arrivo di due ragazze (Eleonora e Ana) offre l’occasione ai gemelli di provare le loro rispettive tesi. I corpi di Eleonora e Ana diventano il materiale umano per un esperimento estremo. Anche le scene più violente e raccapriccianti perdono quindi in qualche modo il loro aspetto respingente (anche se risulta comunque difficoltoso mantenere lo sguardo sulla lettura), perché costituiscono la continuazione del dialogo filosofico dei due fratelli.  

Così, un romanzo che nasce probabilmente anche per sconvolgere, nasconde alcuni elementi di lettura più profondi, che vengono richiamati anche grazie all’utilizzo di una simbologia continua. Il tema del tempo e della ciclicità è sicuramente quello più evidente, ed è richiamato da diversi elementi che ricorrono periodicamente. L’uroboro, per esempio, tatuato sul collo di Kehinde, che simboleggia la ciclicità del tempo, la potenza che divora sé stessa e si rigenera costantemente. Il tema della ciclicità è anche richiamato dal costante riferimento ad un orario preciso (le 19.47.02) che ricorre in diversi momenti del libro. 

Si potrebbe sicuramente mettere in dubbio la riuscita di questo romanzo, perché a volte si ha l’impressione che sia un lungo esercizio di stile, e che l’aspetto ripugnante cannibalizzi in qualche modo il discorso filosofico attorno all’esistenza di Dio e alla fede. Nonostante questo, Uno in diviso ha sicuramente dimostrato le capacità stilistiche di Pietrantozzi: la sua scrittura è lirica, ma mai eccessiva, ed è forse il vero motivo per cui si dovrebbe leggere questo libro, anche a diversi anni di distanza dalla sua prima uscita.  

«Lecco mio fratello sulle labbra, piano. E soffio sul suo occhio ferito. Questo bacio amaro e dolce, questo bacio forte e fragile, che nessuno vede, questo bacio divino e infernale. Questo bacio che, contro la durezza della terra – come un dito gelido nel lavabo in cui scorre la più bruciante delle acque –, ambiguo e sincero, sa annodare due tempi diversi, due suoni dissonanti, sa congiungere due frangenti di cui, se il primo è sorto nel mare, a pochi metri dall’arena, l’altro è spuntato sul picco più alto del monte.» 

A fine lettura, ci si chiede forse cosa abbia ancora questo libro da dirci, a più di dieci anni dalla sua uscita. Forse, la risposta a questa domanda è racchiusa in ciò che Taiwo dice al fratello in un passaggio del romanzo:  

«I libri ci hanno insegnato che la metafora ha un significato indispensabile, e che la buccia di un limone può diventare la scorza del sole. Ma io, a volte, immagino di essere piccolo come un insetto, di avere la consistenza di una formica, e più diminuisco io, più tutto quello che ho attorno diviene immenso. E mi pare di poter capire…» .

Ed è così che ci si sente dopo aver letto Uno in diviso. Se si riesce ad arrivare indenni a fine lettura – se si riesce a mantenere lo sguardo costante e vigile su tutte le pagine –, oltre che tremendamente infastiditi, ci si sentirà probabilmente come dei piccoli insetti che sbattono la testa contro questioni i filosofiche ben più grandi di loro

Francesca Rossi

Foto in evidenza di Karolina Grabowska: https://www.pexels.com/it-it/foto/arte-scuro-astratto-bianco-4709445/

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