Il corpo che cambia: La Cecilia di Michela Panichi

La Cecilia, Michela Panichi
(nottetempo, 2025)

La Cecilia, romanzo d’esordio di Michela Panichi edito da nottetempo a maggio 2025, è una ventata di aria fresca nella lunga serie di romanzi, film, serie TV, racconti ecc. a tema adolescenza. Il punto di vista è nuovo, i sentimenti indagati sono sinceri, i personaggi che si muovono sullo sfondo di una Ischia torrida e misteriosa sono veri. Quante storie abbiamo letto e visto sugli amori estivi nell’età che va dai tredici ai diciannove anni? Tante, tantissime, e quasi tutte uguali. La Cecilia spezza la narrazione dominante e propone finalmente una prospettiva laterale, scomoda, quella di chi cresce con un’identità dissonante rispetto al corpo che abita e alle aspettative sociali e familiari; racconta l’adolescenza come un territorio di disagio, confusione, silenzi e battaglie, molto diverso dalle rappresentazioni patinate e dalle scoperte magiche e palpitanti a cui siamo abituati.

La cecilia è un verme del Sud America, maschio e femmina, e non vede. Durante l’estate dei miei tredici anni il mio nome di anfibio, pieno e tronco allo stesso tempo, cambiò in Luca. Come mio fratello.

La frase che ho riportato, collocata nella prima pagina del libro, spiega il doppio senso del titolo: il nome della protagonista, ma anche il nome di un anfibio vermiforme che è sia maschio sia femmina. Quest’ultimo particolare introduce anche il tema centrale: l’identità di genere della protagonista, una tredicenne il cui corpo si sta preparando alla pubertà.

Conosciamo Cecilia durante le vacanze estive a Ischia, nella casa di proprietà dove passa i mesi di giugno, luglio e agosto, prima di rientrare a Napoli per l’inizio della scuola. Con lei ci sono la madre e il fratello più piccolo, Luca, di cui Cecilia prenderà in prestito il nome. Il padre è a ancora a Napoli per motivi di lavoro: è un insegnante e deve concludere gli esami. Ai genitori di Cecilia è legata una sottotrama che in alcuni punti, soprattutto verso la fine, intreccia la linea narrativa principale, influenzandola e deviando il corso degli eventi. La madre e il fratello, sganciati dal contesto familiare, hanno invece un ruolo di primo piano nella vicenda di Cecilia: la madre perché non vuole o non riesce a vedere chi è davvero sua figlia, il fratello perché è uno dei metri di paragone con cui Cecilia si confronta, tanto da impossessarsi del suo nome, simbolo di tratti distintivi maschili che Cecilia non ha.

«Perché non puoi metterti dei vestiti da ragazza?»
E io, che avrei solo voluto replicare con gesti rabbiosi, rimasi zitta. Le sue parole mi avevano cacciato in gola un grumo solido di vergogna: perché non ero come Teresa? Ma lei non se ne accorse neanche.

A conferire impulso alla storia e a dare inizio alla finzione di Cecilia-Luca è la comparsa di Alba, una ragazza ischitana descritta come bella, disinibita e sicura nel corpo, al contrario di Cecilia, che nasconde e altera le proprie caratteristiche fisiche. È Alba a rivolgersi per prima a Cecilia con pronomi maschili, equivoco a cui Cecilia risponde stando al gioco e presentandosi come Luca.

Che si fosse rivolta a me come a un maschio, lo capii più tardi, quando anche gli altri continuarono a declinare gli aggettivi al maschile. I bermuda di mio fratello, con una fantasia a grossi fiori hawaiani, nascondevano con la loro ampiezza le mie forme acerbe. I capelli corti fecero il resto. Così, quando mi domandarono come mi chiamassi, risposi con il primo nome maschile che mi venne in mente: Luca.

Inizia così il percorso di Cecilia alla scoperta di sé, del proprio involucro esterno, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Il lettore la accompagna in un viaggio doloroso, in una ribellione alla pelle e al nome che si consuma in un piccolo borgo dove tutto è visibile, ogni gesto osservato e ogni assenza amplificata. E mentre la madre esercita il controllo attraverso la casa e il padre scompare dietro pareti, telefonate e fughe, Cecilia è dentro un corpo che cambia e del quale rifiuta il riflesso allo specchio, un corpo che studia con imbarazzo e cerca di plasmare secondo la sua volontà. È figlia, sorella, quasi donna e ancora bambina, e in quella terra di mezzo cerca un angolo d’ombra dove essere solo se stessa, anche solo per un momento.

E, mentre pensavo che quel modo apparteneva soltanto a corpi estranei, che si incastravano tramite escrescenze e rientranze, decisi che non avrei mai voluto essere penetrata.

La relazione tra Cecilia e Alba fa da trainante nella seconda metà del libro e si consuma in un campo di forze sotterraneo, segnato da attrazione, dispetti e rivalità. Cecilia la segue ai Maronti, luogo di libertà e invisibilità, e sotto il nome di Luca passa le giornate insieme a lei e al suo gruppo di amici, mimetizzandosi tra loro nel tentativo di appartenere a qualcosa. Ma la presenza di Alba, con la sua spregiudicatezza, rompe gli equilibri. I maschi del gruppo orbitano intorno a lei come satelliti attratti e respinti. Cecilia assiste, desidera, si nasconde e infine compete. Assume atteggiamenti maschili, si muove con rabbia, cerca di essere uno di loro pur sapendo di non poterlo essere appieno.

Magari aveva avuto il coraggio che era mancato a me: l’aveva baciata con i suoi movimenti spavaldi da maschio, l’aveva toccata nel modo in cui avrei voluto possederla io. Solo che lui aveva il cazzo e io no.

E ancora:

Mi dava tremendamente fastidio che lui potesse dove io avevo fallito. Era gelosia, sì, ma del suo corpo. Della sicurezza che ostentava, le braccia lunghe, l’odore addosso. […] Qualche giorno e se la sarebbe presa nella casa di roccia – qui ci porti le femmine. In maniera animale come a Sant’Anna. Per quanto mi sforzassi, non avrei mai potuto fare lo stesso con la mia protesi.

Uno degli aspetti più potenti del romanzo è la rappresentazione di un’identità che non si lascia ingabbiare, di una lotta interna che è ben lontana dall’armistizio. Cecilia si muove tra maschile e femminile con l’inquietudine di chi non ha ancora trovato una forma che le somigli del tutto. E forse non vuole trovarla, come la cecilia-anfibio vermiforme.

I capelli corti di un maschio, i vestiti di una femmina, le voglie di un maschio. Il dentro e il fuori cozzavano e io mi sentivo impotente, nel mezzo, schiacciata da una doppia maledizione. Mentre guardavo il triangolo del mio pube, io mi detestavo.

La Cecilia è il racconto sincero di una confusione legittima e di una tensione continua tra ciò che si è e ciò che gli altri ci chiedono di essere. Michela Panichi descrive questa ambivalenza senza mai forzarla in definizioni nette, restituendole tutto il suo spaesamento, ma anche una profonda dignità. L’accettazione di sé qui non arriva come un approdo luminoso, bensì attraverso una serie di piccoli atti quotidiani, per esempio rifiutare il costume intero. Gesti minimi che costruiscono un’identità complessa, sfuggente, e per questo incredibilmente reale.

La lingua è affilata e sensoriale, priva di concessioni, ed è intrisa di un realismo quasi animalesco: sudore, sangue, pipì, graffi, odori nuovi sotto le ascelle. Tutto il mondo interno della protagonista è mediato dal corpo, attraverso cui si rifrange ogni relazione: con la madre distante e tradizionalista, con il padre che pare appartenere a un’altra razza, con il fratello, suo doppio speculare, e con Sergio, figura ambigua che le provoca invidia e fastidio.

La Cecilia è un romanzo che non cerca di compiacere né di rassicurare. Mostra l’adolescenza per ciò che è davvero: un tempo ruvido, fatto di corpi che si modificano, ruoli che si impongono, identità che si sfaldano e si ricompongono con fatica.

Michela Panichi dà spazio a quella parte spesso silenziata del diventare adulti: non l’innamoramento, non il primo bacio, ma il disagio, la vergogna, la rabbia muta, il sentirsi sempre fuori posto. E lo fa con una scrittura essenziale, senza mai giudicare i personaggi, nemmeno quando sbagliano.

In un panorama narrativo ancora dominato da stereotipi e modelli rassicuranti, questo libro è una voce fuori dal coro, una voce che merita di essere ascoltata.

«Maschio o femmina? Dovevo scegliere».

Marta Grima

(immagine in evidenza di Pixabay da Pexels)

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