“L’inverno di Giona”, il potente esordio di Filippo Tapparelli

L’inverno di Giona, Filippo Tapparelli
(2019, Mondadori)

giona

Quasi un anno fa Filippo Tapparelli ci raccontava in un’intervista la sua esperienza come vincitore della XXXI edizione del Premio Calvino: adesso L’inverno di Giona, il romanzo che gli è valso questo titolo, è in libreria per Mondadori e non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di leggerlo.

All’inizio della lettura è difficile decidere che genere di testo si ha di fronte: una distopia, un’opera surreale, a tratti una fiaba iniziatica? Il problema della classificazione passa però in secondo piano col procedere della storia, via via che il lettore viene risucchiato nel mondo di Giona, un ragazzino che vive in un isolato paesino di montagna insieme al nonno Alvise e al suo rigido sistema di regole e abitudini.

Ogni trasgressione e ogni deviazione dall’ordinario costano care al protagonista: Alvise è violento, non esita a picchiare Giona per insegnargli come vivere o ad infliggergli punizioni più fantasiose ed elaborate, prima fra tutte la privazione dal suo maglione rosso, unica vera proprietà del ragazzo e unica protezione dal freddo della montagna. Il vecchio è una figura minacciosa, un padre-padrone che offre protezione ma richiede in cambio assoluta e cieca obbedienza.

La figura leviatanica di Alvise incombe non solo sulla vita di Giona, ma su tutto il paese, che ne è succube e schiavo come nei confronti di un dio crudele. Lo scopo del vecchio, intravisto fin dalle prime pagine e sempre più chiaro con il procedere della narrazione, è fare di Giona il suo successore: il ragazzo deve imparare tramite la sofferenza per poter essere forgiato a immagine e somiglianza del suo aguzzino.

L’azione inizia quando, posto per la prima volta davanti ad una scelta – bruciare il suo maglione o abbandonare la casa di Alvise – Giona decide di uscire e cercare da solo la sua strada. Ma è davvero possibile lasciarsi alle spalle la casa di Alvise, il paese e quello che rappresenta? Il viaggio di Giona è destinato ad essere circolare, una spirale intorno alle strade del paese che finiscono per risucchiarlo e trascinarlo sempre verso il punto di partenza: Alvise, il nemico da sconfiggere, il mentore da cui emanciparsi.

Quello del protagonista è anche un viaggio a ritroso nel tempo: Giona non ha ricordi, vive nel limbo sospeso fuori dal tempo che è il paese, ma da quando abbandona Alvise alcuni indizi gli riportano traccia di una vita precedente, in cui al suo fianco c’erano una madre e un padre. Cos’è successo ai suoi genitori? Lo hanno perso, lo hanno abbandonato, sono stati uccisi dal vecchio? E qual è la responsabilità di Giona a riguardo?

La verità è sfuggente, si dirama in versioni dei fatti sempre un po’ diverse, tutte appannate da un velo di faziosità: chi legge percepisce che Giona è ancora lontano dalla soluzione, ma la chiave di volta della questione rimane inafferrata. Gli abitanti del paese possono essere alleati, come la piccola Norina, o ambigui aiutanti comunque soggetti all’influenza di Alvise.

Lo stile di Tapparelli è perfetto per creare un mondo realistico e tangibile, eppure visionario, sospeso fuori dal tempo. Le descrizioni sono dettagliate e precise, ogni azione è narrata quasi al rallentatore, così da venire in qualche modo vissuta anche da chi legge, ma allo stesso tempo l’atmosfera è surreale: agli oggetti vengono attribuiti verbi e aggettivi umani, non sono semplici cose inanimate ma agenti concreti della storia.

La realtà dei fatti viene ricomposta abilmente nell’ultima parte del romanzo, eppure a questo punto scoprire cosa è successo a Giona è già un problema secondario rispetto al perché gli è successo.

L’inverno di Giona consegna al lettore una storia coerente e ben strutturata, eppure multiforme: una volta appresa la mera realtà dei fatti, sta a noi rimettere insieme tutti i pezzi per comprendere Giona e dar pace alla sua vicenda; è un esordio potente che sfiora una moltitudine di temi duri e forti – la colpa, il castigo, la mascolinità, il potere e la solitudine – con una grazia e una dolcezza inedite, generando un prodotto finale vivo e difficilmente dimenticabile.

Loreta Minutilli

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