La periferia dove i fiori non crescono

Qui non crescono i fiori, Luca Giordano
(Terrarossa Edizioni, 2021)

quinoncresconoifioriSiamo su un’isola siciliana. I fratelli Damiano e Salvatore stanno ritornando dalla consegna di un motorino rimesso a nuovo dal padre, il meccanico Mario. L’Ape sgangherata su cui viaggiano decide però di lasciarli a piedi in mezzo alla calura della strada polverosa: la terra, come labbra secche, è spaccata e riarsa dal sole; non c’è un alito di vento. Damiano – che fin da subito si intuisce quanto col fratello minore non abbia un bel rapporto – decide di andare ad avvertire il padre e ordina a Salvatore di restare lì in attesa. Il dodicenne aspetta invano: pensa che il padre e il fratello si siano dimenticati di lui, ma non sa della parabola che Mario, ubriaco, ha chiesto di aggiustare a Pietro – amico di Damiano e aiutante nell’officina – e al figlio rincasato; non sa della caduta della parabola, «non sa della rabbia che tutto ciò ha provocato, della spinta che ha sbattuto Damiano contro il muro».

Salvatore tornerà a casa molte ore dopo accompagnato da un uomo che per strada lo ha salvato dalle grinfie di un cane randagio. Purtroppo, prima di essere abbattuto dal buon samaritano, il cane morde Salvatore a una gamba: è questo l’innesco narrativo che porterà al proseguo degli eventi, tra richiami di antirabbica e il tentativo del piccolo Salvatore di farsi un nuovo – e unico – amico, con Damiano e Pietro che cominceranno a sognare un futuro lontano da quell’isola priva di costrutto, mentre Mario, spesso preda dell’alcool, si scoprirà esser violento non solo verso i figli ma anche verso sé stesso, soprattutto a causa dei profondi sensi di colpa che lo legano ai dolorosi eventi di dieci anni prima, che pian piano verranno a galla e accompagneranno il lettore fino all’efferato colpo di scena finale.

In Qui non crescono i fiori di Luca Giordano, pubblicato nel 2013 da ISBN Edizioni e riedito da Terrarossa a febbraio 2021 per la collana Fondanti, da subito si insiste sull’aridità, richiamata sin dal titolo, tanto dell’ambiente quanto delle relazioni tra i personaggi, contrapponendo all’incapacità fecondatrice dell’isola la disfunzionalità dei rapporti che lega Mario ai suoi due figli: come la terra brulla e inasprita dal sole non genera fiori – e dunque non genera la parte riproduttiva delle piante, il cui simbolismo esoterico spazia tra creazione, protezione, amore e molto altro –, così il dolore e la colpa di Mario non producono affetto ma solo attriti, incomprensioni e scontri anche fisici e violenti. Ciò si rivela particolarmente vero per Damiano, nei cui occhi il padre vede, rispecchiandosi, la sua stessa angoscia prender corpo, mentre le parole dure che sputa velenose addosso al figlio sono solo un riflesso di quello che lui pensa di sé, nonostante Damiano, purtroppo, questo non lo possa sapere.

«Si è fermato l’Ape ti ho detto di andarlo a prendere, dice Damiano, Ma sembravi impegnato. Queste ultime parole sono di quelle che il padre non sopporta.
Avresti dovuto esserci tu al suo posto, dice Mario. E avrei sperato che non ci fosse nessuno col fucile pronto, aggiunge.
Lo dice con una tranquillità che mette i brividi.
Te lo saresti meritato. È sempre colpa tua, dice, Ogni cosa è colpa tua, da quando sei nato». [pag. 45]

Il veleno del padre penetra sotto la pelle di Damiano, che risponde a quest’odio inspiegato con altrettanto odio verso Salvatore. Un’anima delicata quella di Salvatore, impotente verso le angherie del fratello, ma che comunque cerca di gettare un po’ di luce attorno al degrado in cui si incancreniscono le ferite dei suoi familiari. In questo senso, è significativo il movimento narrativo che prende vita dalla prima parte del romanzo, intitolata ‘Caccia’: dopo che Salvatore è stato medicato dal morso, Mario lo porta in cerca di randagi, in un momento padre e figlio sui generis che si conclude con la morte di un povero cane ucciso da Mario, e uno ferito da Salvatore a colpi di fucile. Nonostante il trauma, è a seguito di questo episodio che il ragazzino decide di farsi pieno carico del significato del suo nome – colui che salva – prendendosi cura dell’animale a cui ha sparato al fine di redimersi e, in qualche modo, redimere anche il padre per la vita che ha tolto.

Il tentativo di salvataggio dell’animale avviene nella seconda parte del romanzo, la cui struttura ruota intorno ai vari significati della parola che gli dà il titolo: ‘Richiami’. Sono ‘richiami’ quelli di antirabbica che il medico deve fare a Salvatore; sono ‘richiami’ quelli che, a gran voce, il ragazzino emette ogni volta che va a trovare il cane, nascosto in una vecchia cascina bruciata lontana da casa; infine, possono essere visti come ‘richiami’, richiami della memoria, anche i ricordi passati attraverso cui si ricostruisce la storia di Alice, la scomparsa madre dei ragazzi, che si intrecciano alla narrazione al presente in un crescendo sempre più carico di tensione; tensione che si scioglierà, tra sangue e lacrime, solo alla fine.

Se da un lato Salvatore tenta di creare un legame d’amicizia con il cane di cui ha cura, il percorso che cercano di intraprendere Damiano e Pietro invece è caricato di tutt’altro segno: loro non vogliono creare legami, ma recidere definitivamente i pochi che ancora hanno sia con la propria famiglia sia con la loro terra. Infatti, i due sognano di andarsene dall’isola per sfondare nel mondo dello spettacolo, e lo vogliono fare partecipando al provino del Grande Fratello. È interessante vedere quanto il programma, soprattutto durante gli anni del suo picco, gli anni ’10, abbia fatto viaggiare le menti di molti, andando ad intaccare un certo tipo di immaginario – si pensi per esempio al film Reality (2012) di Matteo Garrone – che mette ancora più in risalto la distanza tra ciò che è percepito come ‘centro’ – la notorietà, Roma, Cinecittà – e tutto ciò che invece viene considerato ‘periferico’ – nel caso del romanzo di Giordano: l’anonimato sia personale sia del luogo dove vivono i personaggi, e la Sicilia intera.

L’attrazione verso il ‘centro’ dei due ragazzi ricorda, sotto vari aspetti anche se con minore intensità, la stessa che anima i giovani protagonisti di Il tempo materiale di Giorgio Vasta (minimum fax, 2008), sebbene nel romanzo di Giordano il senso ‘periferico’ che investe la Sicilia sia ancor più prominente: si parla di una terra desolata, raccontata attraverso gli occhi di chi non si sofferma più a pensare se tra i tanti cani randagi e gli immigrati che popolano l’isola ci sia effettivamente qualche differenza – queste sono tutte anime irrequiete, accolte con sospetto e inospitalità.

La penna di Giordano tratteggia con vigore tutti questi elementi, mettendoli a contrasto con i pochi momenti distensivi presenti nel romanzo, che spesso coincidono con la presenza dell’acqua – si pensi alla caletta sul mare dove Mario e i figli vanno a fare il bagno, o l’arrivo da Roma di Alice sull’isola, accompagnato da un forte acquazzone. In mezzo a tante frizioni familiari, dolori taciuti e infine svelati, l’autore racconta una storia priva di qualsiasi edulcorazione che, sicuramente, non lascerà il lettore indifferente.

Angela Marino

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