Puoi chiamarmi Emma, Matilde Falasca
(Giulio Perrone Editore, 2022)
Scritto durante il primo lockdown, all’età di quindici anni, e pubblicato lo scorso gennaio da Giulio Perrone Editore, l’esordio della diciassettenne Matilde Falasca ha come protagonista Margherita, una ragazza di diciotto anni. Solo la combinazione di queste tre cifre potrebbe bastare per rendersi conto dell’unicità di questo libro: Puoi chiamarmi Emma è un romanzo sull’adolescenza, scritto da una ragazza che è ancora nel pieno di quel momento, magico e terrificante, della vita. A confermarne il grande valore per il panorama letterario italiano, poi, c’è la profonda sincerità e l’infinita purezza grazie a cui questo libro si fa spazio tra i tanti che esplorano lo stesso tema.
Margherita frequenta l’ultimo anno di liceo, ha una famiglia normale e amici con cui ha condiviso le estati dei cominciamenti, tra «sigarette al sapore di gelato», primi amori e albe sui tetti. Ma c’è una presenza che non le dà pace, un «non so chi» nascosto tra i suoi pensieri che le impedisce di godersi e vivere a pieno quelli che, a detta di molti, dovrebbero essere gli anni più belli di una vita. Che grande menzogna: come fa la gente a non accorgersi che proprio quegli anni lì, quelli dell’esperienza della transizione, delle prime e ultime volte – quelli che gli indigeni dell’Amazzonia chiamerebbero xibipiio – portano con sé un sentore di muffa nauseante? Che la spensieratezza lascia troppo spesso il posto alla noia e al malumore? Margherita ha una parola per spiegare la sensazione che le si appiccica addosso in questi casi:
«Il tedesco fernweh: la nostalgia per un posto in cui non si è mai stati. Impossibile, si direbbe. Eppure capita talvolta di cercare ardentemente un luogo senza avere la minima idea di dove si trovi, con la consapevolezza, tuttavia, che capitandoci lo si riconoscerebbe subito».
A Margherita la quotidianità di adolescente – prendere l’autobus numero 72 ogni mattina, partecipare a manifestazioni prive di idee, frequentare locali e atteggiarsi a una felicità non autentica – non basta. Lei crede nell’amore, ha sete di infinito, di immortalità, di un altrove che può raggiungere solo tramite la fantasia. La sua abitudine preferita è quella di posizionarsi nelle sagome di luce e leggere mentre la sua immaginazione «se ne sta sul precipizio di una pagina e non osa lanciarsi giù». Intanto, però, nel mondo attorno a lei i minuti scorrono veloci e sprezzanti, gli esami si fanno sempre più vicini e con loro le scelte sul futuro avanzano prepotenti. Margherita si trova a sprofondare in un sentimento che in russo si definisce toska: una grande angoscia spirituale senza causa, che non ha la possibilità di comunicare.
Tutto cambia quando Margherita entra nell’auletta numero 6, l’aula del professor Vatti: la trama, che inizialmente ha il ritmo lento e pastoso della tristezza, a un tratto si ravviva e prende a fare slanci e piroette, dapprima timidi e poi sempre più gioiosi, attorno al tema del linguaggio e della comunicazione. Una corrispondenza anonima con un ragazzo che si firma Teo le permette di iniziare a conoscere la propria solitudine e a tentare di riappacificarsi col «non so chi» – tenera rappresentazione della sua coscienza interiore. Emma è il nome che decide di dare al suo alter ego, la ragazza delle lettere: grazie a Emma, Margherita inizia a raccontarsi e a sentirsi capita, facilitata dalla situazione surreale e romantica che viene a delinearsi.
Un’altra svolta fondamentale che porta la giovane protagonista sulla strada della conoscenza di sé stessa è rappresentata dal teatro: Margherita intuisce che, di fronte alle mille e una scelte possibili dopo il liceo, fare l’attrice la dispenserebbe dalla necessità di scegliere una sola strada. Recitare significherebbe intentare una sua personale «battaglia senza morti contro l’universo», vagando per i suoi infiniti mondi paralleli e sperimentando tutti i sé possibili nei diversi personaggi. Diventare un’attrice vorrebbe dire, per Margherita, essere adolescente per sempre, per sempre mutevole e plurale, pura energia eternamente in potenza.
È prodigioso ed emozionante assistere al lento scartarsi e sbocciare di questa adolescente di oggi che, però, assomiglia tanto a una adolescente di tutti i tempi: ci sono la paura e insieme la voglia di scoprirsi, c’è la ricerca di un linguaggio adatto a raccontarsi e definirsi, e ci sono infine la volontà e lo slancio titanico di essere oltre il tempo e oltre lo spazio. La cosa sorprendente è che Falasca sembra, se non azzerare, almeno diminuire di molto la distanza tra l’aspettativa che si ha generalmente su un adolescente “di oggi” e la certezza che si crede di avere su un adolescente “di altri tempi”. Certe dinamiche che riguardano questo terreno liminare, checché se ne dica, rimangono invariate, ed è apprezzabile lo sforzo dell’autrice di raccontarle senza necessariamente far leva sulle tecnologie moderne.
Con stile sì acerbo, ma estremamente puro e carico di vita vera, la giovane autrice crea una narrazione che funziona naturalmente: se anche a volte inciampa, lo fa nel verosimile tentativo di abbracciare tutto quello che una ragazza di quindici anni può sapere e raccontare della vita fino a quel momento, ed è portentoso nel suo ingenuo candore. Man mano che prende confidenza col linguaggio e si fa contaminare da vocaboli esotici, dalle definizioni pescate dai libri di scuola, per poi sfociare in riflessioni che intessono una filosofia personale, il racconto fluisce come un fiume in piena, manifestando tutta la sua necessità. Per poi, infine, evaporare sotto forma di bolle di sapone, quei simpatici corpi iridescenti che Margherita accosta a noi:
«Siamo noi, noi uomini e donne. Siamo noi che possiamo scegliere quale colore, quale angolazione. In questo rompicapo, la soluzione è che possiamo deciderla noi, possiamo inventarci la risposta alla nostra domanda. Se non fosse così, se si trattasse solo del nulla, allora non ci avrebbero dato una bolla di sapone».
Beatrice Palmieri
“Se non fosse così, se si trattasse solo del nulla, allora non ci avrebbero dato una bolla di sapone”. E cos’è il nulla se non una bolla di sapone? Interessante la recensione, invita a leggere il libro, ma non convincente sullo tile della scrittura (come chiaramente indicato dal recensore Beatrice). Ci vuole qualcosa di più per accingersi a leggere.
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