Rivoluzione digitale e letteratura: un’introduzione al problema, senza farsi prendere dal panico

La rivoluzione digitale è la rivoluzione del nostro tempo. Ne siamo consapevoli?

SOCRATE: Dicono che [Theuth] per primo […] abbia scoperto i numeri, il calcolo, la geometria […] e, infine, anche la scrittura. In quel tempo, re di tutto l’Egitto era Thamus […]. E Theuth andò da Thamus, gli mostrò queste arti e gli disse che bisognava insegnarle a tutti gli Egizi. […] Quando si giunse alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è trovato il farmaco della memoria e della sapienza». E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, […] essendo padre della scrittura, per affetto tu hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. La scoperta della scrittura, infatti, avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi. [1]

platone
Platone e Aristotele – dettaglio de La scuola di Atene di Raffaello Sanzio

In questo brano del Fedro di Platone, Socrate avanza alcune critiche non tanto sull’invenzione della scrittura, quanto su un suo uso sconsiderato: la scrittura è una tecnica che deve essere padroneggiata dall’uomo, e non padroneggiare l’uomo. Il rischio infatti è che, affidandosi ad uno strumento per la conservazione della conoscenza, l’uomo dimentichi ciò che sapeva «dal di dentro» e sia costretto a ricorrere sempre a «segni estranei» che stanno fuori da lui.

Da quasi duemilaquattrocento anni di distanza questa riflessione giunge netta e tagliente alla nostra attualità: va a toccare e a far male proprio là dove la ferita è più aperta. Provate a sostituire nel brano la parola “scrittura” con “internet”, oppure, per essere ancora più concreti, con “Wikipedia” o “Google Maps”. Il re egizio Thamus sta parlando di noi: abbiamo l’impressione di essere sapienti ma senza Wikipedia e Google Maps forse oggi molti di noi sarebbero in difficoltà persino a muoversi in una città. Ecco come il sovrano continua il suo discorso all’inventore (si sarebbe tentati di chiamarlo “ingegnere”) della scrittura:

Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, essi crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre […] non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con loro, perché sono diventati conoscitori di opinioni invece che sapienti[2].

La descrizione è talmente pertinente al nostro mondo che sembra scritta oggi: il rapporto fra apparenza e verità, lo spettacolo pirotecnico di informazioni, commenti, opinioni a cui assistiamo ogni giorno, l’incapacità di comunicare e di riconoscere il punto di vista degli altri (si rimanda al libro di Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici: l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, recensito qui dal nostro blog): sono i problemi del nostro tempo che siamo chiamati a risolvere, e hanno tutti in qualche modo a che fare (si veda l’originale interpretazione di Baricco in The Game, ecco qui cosa ne pensiamo) con il progresso tecnologico.

Quali le vie praticabili almeno per impostare, se non risolvere, il problema? Sicuramente non il luddismo: il problema non è nelle macchine, è nel nostro livello di attenzione e di consapevolezza. Un punto di vista notevole al riguardo è quello di chi pone dubbi dalla prospettiva degli studi umanistici. Effettivamente, la gestione del progresso tecnologico, in particolare digitale, ha molto a che fare con la letteratura e con alcune delle discipline che da essa sono in vario modo discese.

La rivoluzione digitale sta cambiando il nostro modo di conoscere e percepire il mondo attraverso il linguaggio, e, secondo il linguista e filosofo Raffaele Simone[3], non in meglio. Simone sostiene che stia via via scomparendo l’atteggiamento mentale che proveniva dall’invenzione della stampa, ovvero una mentalità proposizionale, che si fonda su: esprimere pensieri in parole e frasi (proposizionalità); scomporre situazioni e problemi complessi in componenti più semplici (analiticità); strutturare il discorso in modo gerarchico (strutturalità); dare nomi alle cose, in modo da poterle richiamare facilmente (referenzialità).

L’atteggiamento mentale che il web favorisce, grazie a una testualità più fluida e all’enorme peso delle immagini, è del tutto opposto: è generico, poiché non scompone il discorso in elementi distinti e non lo struttura in modo gerarchico; è vago perché non dà nome alle cose ma si limita a alludere tramite concetti generali.

La mentalità proposizionale è propria di un atteggiamento scientifico; la mentalità non proposizionale è propria di un atteggiamento mistico, che mira alla fusione del soggetto con l’oggetto: Simone la ritiene un decisivo allontanamento dalla realtà, e dunque un drastico impoverimento delle nostre capacità di pensare.

wolfDa un punto di vista diverso, quello delle scienze cognitive, Maryanne Wolf imposta la questione in termini di capacità e modelli di lettura. Ciò che leggiamo in digitale è un tessuto di parole, suoni, immagini, video, in continuo movimento, che fa di tutto per attrarre su di sé l’attenzione del lettore a scapito del resto. Il lettore dunque si troverebbe iper-stimolato e spinto a muoversi rapidissimamente verso nuove fonti di soddisfazione della propria attenzione. Questa situazione può rendere la lettura di un romanzo assai meno appagante, a causa dei tempi lunghi e del coinvolgimento del lettore che esso richiede. Il rischio che Wolf paventa è che il nostro modo di leggere diventi sempre più rapido e superficiale: ciò significa che la letteratura assumerebbe un posto sempre più minoritario nel nostro mondo.

La marginalità della letteratura avrebbe effetti devastanti sulla nostra intelligenza emotiva, poiché vi è «una forte relazione fra lettura di narrativa e il coinvolgimento dei processi cognitivi alla base […] dell’empatia»[4]. L’empatia svolge infatti un ruolo importante nella strutturazione del pensiero:

Quando leggiamo narrativa, il cervello simula attivamente la coscienza di un’altra persona […]. Questo ci consente, per alcuni momenti, di provare davvero ciò che significa essere un altro. […] L’empatia comporta, dunque, conoscenza ed emozioni. […] Questo filone emergente di ricerca sull’empatia nel cervello che legge illustra […] quanto sia importante il collegamento tra emozione e pensiero nel circuito cerebrale di lettura di ogni individuo. La qualità del nostro pensiero dipende dalle conoscenze di base e dalle emozioni che ciascuno di noi mette in gioco.[5]

Oltre a ciò la capacità di leggere, come quella di scrivere, non è innata ma appresa: ciò significa che può essere imparata ma può essere anche dimenticata. Secondo Wolf i circuiti cerebrali che si attivano quando si pratica la lettura profonda possono essere ricalibrati su altre funzioni se non vengono usati con una certa continuità: significa che il nostro cervello, continuamente sollecitato alla lettura rapida e all’elaborazione di stimoli visuali non verbali, potrebbe diventare incapace (a meno di un nuovo allenamento specifico) di lavorare in modo significativo su un testo scritto.

La letteratura dunque sembra essere ciò di cui avremmo più bisogno ma anche ciò che più corre il rischio, se non dell’estinzione, dell’irrilevanza. Di fronte alle storie di Instagram che sono vere solo per finta, per poter continuare a pensare in modo profondo ci servono storie che siano finte per davvero, quelle dei romanzi: ci mantengono umani. Contro la comunicazione avvelenata di solipsismo del mondo virtuale, la letteratura può fungere da antidoto: può aiutarci a riconoscere gli usi manipolatori del linguaggio e, soprattutto, ci può insegnare per via empatica a rispettare il punto di vista degli altri.

Dunque, la letteratura offre una visione profonda della realtà; ma che cosa significa arricchire di questa sensibilità l’incombente rivoluzione digitale? Se sei giunto fin qui, significa che sei la persona giusta a cui porre questa domanda.

 

Adriano Cecconi

 


[1] Platone, Fedro, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2009, pp. 256-257.

[2] Ivi, p. 257.

[3] R. Simone, La terza fase: forme di spere che stiamo perdendo, Roma, Laterza, 2006.

[4] M. Wolf, Lettore, vieni a casa, Milano, Vita e Pensiero, 2018, p. 54

[5] Ivi, pp. 54-55.

2 Comments

  1. Riflessione molto acuta! soprattutto quella sul valore e la funzione della Letteratura. Tra tutte queste citazioni, mi sia permesso aggiungere la mia: “C’è qualcos’altro che ha il potere di svegliarci alla verità. È il lavoro degli scrittori di genio. Essi ci danno, sotto forma di finzione, qualcosa di equivalente all’attuale densità del reale, quella densità che la vita ci offre ogni giorno ma che siamo incapaci di afferrare perché ci stiamo divertendo con delle bugie.” [Simone Weil]

    "Mi piace"

Lascia un commento