Piccole apocalissi: un intenso laboratorio sperimentale

Piccole apocalissi, Livio Santoro
(Edicola Ediciones, 2020)

Le micronarrazioni sono probabilmente tra le cose più complesse da scrivere, oltre che da leggere. Livio Santoro – che io conoscevo essenzialmente come responsabile editoriale della collana Gli Eccentrici, edita dalla casa editrice Arcoiris – ha scritto una magistrale raccolta di micronarrazioni.

I racconti proposti non solo sono il frutto di un lavoro di labor limae estremamente evidente, ma sono anche un bellissimo collage di pezzi di esistenza, a volte assurdi, a volte iper-realistici. Colpisce la bravura con cui l’autore gioca coi generi, spaziando dall’haiku al fantastico alla fantascienza e così via discorrendo: quasi come se ogni micro-racconto fosse un micro-laboratorio letterario (e in ciò è evidente l’influenza della letteratura sudamericana di cui Santoro è esperto). In ogni caso, ciò che emerge da queste brevissime narrazioni è un sentimento sempre diverso, ma estremamente netto e ben delineato. Poche parole, a volte davvero pochissime, ma precise come delle frecce.

Ciò che appare più evidente dalla lettura è che le storie raccontate sono solo dei frammenti di quadri più ampi: come se, guardando un film, Santoro avesse voluto mostrarci solo le scene più intime, significative e tranchant.

Nonostante questo, o forse proprio per questo, la raccolta appare di difficile lettura: questo non deve essere interpretato necessariamente come un difetto, anzi, il mio vuole quasi essere un complimento. Benché la natura dei racconti e la loro lunghezza sia ridotta, le 45 pagine della raccolta vanno centellinate: sarebbe poco intelligente, o addirittura dannoso alla comprensione della raccolta stessa, pretendere di voler ingurgitare le “pillole” di racconto che Santoro propone.

Le micro-narrazioni inserite sono di difficile lettura proprio perché costituite da un peso specifico non indifferente, di una portata che forse – se l’autore avesse voluto sperimentare uno schema narrativo più classico – avrebbe dovuto essere diluita in molte e molte più pagine per ogni racconto. Ma, a quel punto, non sarebbero state micro-narrazioni, le scene dei “film” si sarebbero allungate all’inverosimile, e il risultato sarebbe stato sicuramente mediocre.

In tal caso, invece, è proprio il mix pesantezza/brevità a fare di questa raccolta un vero e proprio laboratorio sperimentale e di finezza (vorrei dire di maniera, poiché si evince una maestria nell’uso della parola, però forse qualcuno potrebbe fraintendere).

Non credo sia un caso, in effetti, che la mia micro-narrazione preferita sia una delle più brevi, ma che a mio dire è tra le più incisive, profonde e soprattutto evocative: ecco perchè all’inizio di questa recensione ho parlato di sentimenti, che tra l’altro sono molto più duraturi e stabili delle emozioni, a prescindere dalla lunghezza della narrazione proposta.

Mi riferisco a Cerchi nel grano e vorrei proporvelo come conclusione di questa mia recensione breve, seppure intensa, densa e accorata come la raccolta che sto citando, sperando l’autore non me ne abbia: “Cerchi nel grano? E che cosa cerchi di preciso? Io ci ho trovato i papaveri, ci ho trovato i fiordalisi”.

Clelia Attanasio

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