Configurazione Tundra, Elena Giorgiana Mirabelli
(Tunuè, 2020)
Una città-mondo che è strutturata lungo un’unica, incessante linea; le cui case sono più scatole, e gli abitanti vi abitano come insetti: meramente per la propria sopravvivenza, senza senso di identità o appartenenza. Un sistema di ottimizzazione urbana e individuale nato e progettato a un certo punto della storia del progresso umano, teorizzato dalla brillante e asettica mente di Marta Fiani, madre e ingegnere del pensiero. Lo scopo di Tundra è uno e inderogabile: sistematizzare ogni aspetto della vita umana, renderlo calcolo, schema, in modo da prevenirne anomalie, errori, sprechi. Perché solo così la felicità può essere raggiunta.
Configurazione Tundra è l’esordio di Elena Giorgiana Mirabelli. Il motore primo della storia è Lea, che è doppiamente “soggetto”: soggetto osservato, studiato e (in)compreso dalla narratrice Diana; e individuo proprio, che resiste nel preservare la sua soggettività, scrivendo e conservando mucchi di lettere indirizzate ad amici, amanti e persone che hanno attraversato la sua vita.
Tundra è una Città-Bioma. Il pensiero dietro la sua realizzazione è semplice e definitivo: rimodellare in modo ordinato e lineare l’ambiente urbano, in particolare suddividendolo in quattro Quartieri, ognuno specificamente adibito ad attività ricreative o produttive, con edifici individuabili senza ambiguità e abitabili nel modo più essenziale e impersonale; organizzando tutto questo, è possibile indirizzare lo stile di vita dei suoi abitanti, facendolo diventare una specie di ascesi verso quello che, da millenni, è considerato l’obiettivo ultimo della vita umana: la felicità. La Guida è l’organo direttivo capillare di questa realtà, una realtà in cui tutto è già instradato e differito: tutto ciò di cui hai bisogno, è il bisogno del sistema.
Nonostante questa premessa (e l’interpretazione di tante altre recensioni già pubblicate), personalmente fatico a classificare Configurazione Tundra come un tradizionale romanzo distopico. Credo che il romanzo sottenda intenzioni, da parte dell’autrice, che in parte divergono da una semplice rappresentazione di un mondo (prossimamente o lontanamente futuro) degenerato dal pensiero e dal progresso. Lo vedrei più un realismo traslato, di una fantasia narrativa che vuole filtrare il reale attraverso determinati mindset che derivano dalla filosofia, dalla religione, dall’architettura e dall’ecologismo (urbano come umano): il testo come critica, come particolare abito a una realtà che c’è sempre stata.
Tundra nasce come risposta allo sprawl urbano (ovvero quel perpetuo e incontrollato consumo di suolo naturale al di fuori del centro cittadino che dissemina la città a perdita d’occhio e causa incalcolabili danni all’ambiente), visto come degenerazione. La città degenera perché rispecchia la vita dell’essere umano, che è degenerante e degenerativo. Le persone producono scorie: è la soggettività, la personalità, che causa, nelle relazioni, errori, incomprensioni, anomalie, variabili incoglibili, e la vita diventa caos e il caos non è incanalabile. Efficienza, decoro e pudore sono i dogmi con cui Marta Fiani ha pensato la vita dopo il grande cambiamento, in una psicologia da monomane del controllo. «Devi diventare come l’acqua», ripeteva alla figlia Lea: materiale calcolabile nella sostanza e nelle misure, trasparente, contenibile, essenziale.
All’interno di questo sistema, però, i personaggi vivono in tensione perenne tra la propria personalità e le aspettative del mondo circostante; tra rottura, anomalia e adesione. Lea, Diana, Ettore, Pao danno adito alle loro pulsioni più intime, che si sovraccaricano di significato e instaurano un cortocircuito con questa urbanistica dell’emotività. Le relazioni sono mappate, sono strategie, susseguirsi di input e output, ma non per questo non vi è una cruda, radicata e incontenibile lotta per il proprio irriducibile e autentico spazio all’interno della vita-sistema. Un’adesione dentro la riserva, dentro la condizione di vivere «sul bordo», allineati e sospesi.
Configurazione Tundra è un esordio di carattere, che aggiunge uno stile già solido a un’idea limpida e delicata. Necessita pazienza e disponibilità, in quanto la narrazione è reticolata e scivolosa: anche il lettore ha bisogno di una “configurazione” per questo romanzo, che in un primo momento sembra molto caotico ed evanescente. Una volta entrati in Tundra, comunque, non se ne esce se non con qualche domanda in più, che rimane al di là della lettura: come è giusto vivere i nostri desideri? Quale spazio della nostra vita lo consacriamo all’emotività, al nostro io più autentico? Quale valore diamo alle relazioni, e come le affrontiamo quotidianamente?
Michele Maestroni
L’ha ripubblicato su Downtobaker.
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